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4 Dicembre 2022 – II DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A

Omelia di don Mario Testa _Domenica_04_12_ 2022   >>>

Vangelo

Convertitevi: il regno dei cieli è vicino!

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 3,1-12

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaìa quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!».
E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.
Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Parola del Signore.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: L’annuncio del Battista: il regno dei cieli è vicino >>>

… Nel deserto della Giudea e sulle rive attorno al lago di Galilea, per Giovanni e per Gesù le parole generative sono le stesse : “convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2). Tre annunci in uno: a) esiste un regno, cieli nuovi e terra nuova, un mondo nuovo che preme per venire alla luce.. b) Un regno incamminato. I due profeti non dicono cos’è il Regno, ma dove è. Lo fanno con una parola calda di speranza “vicino”. Dio è vicino, è qui. ….


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Prepariamo la venuta del Signore >>> 

Le letture della seconda domenica di Avvento dell’annata A convergono nel consegnare un messaggio centrato sul Messia: il Messia è colui su cui si posa lo Spirito di Dio con i suoi doni (Is 11,1-10); Gesù il Messia è colui che, secondo la parola della Scrittura, ha adempiuto le promesse di Dio fatte ai padri (Rm 15,4-9); il Messia, colui che battezzerà in Spirito santo e fuoco, è il più forte annunciato dal Battista (Mt 3,1-12). Egli è rivelato dallo Spirito (I lettura), profetizzato dalle Scritture (II lettura), indicato da un uomo, Giovanni, il profeta e precursore (vangelo). Anche nella vita cristiana, lo Spirito, le Scritture e una persona, un uomo o una donna di Dio, un padre o una madre spirituale, un profeta, svolgono una funzione magisteriale e di preparazione all’accoglienza del Signore che viene. Che cosa unifica queste tre realtà? Il fatto che ciascuna di esse rinvia a Cristo. Lo Spirito rinvia al Messia, colui su cui si posa e dimora lo Spirito; le Scritture rinviano a Cristo, parlano di Cristo e conducono il credente a una pratica di accoglienza come Cristo accolse noi (cf. Rm 15,7). ….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Dove è il re dei Giudei che fu partorito?

Questo brano si legge molto durante l’avvento perché indica
la preparazione che deve avere ogni uomo per incontrarsi con il
Signore che viene. Quindi nel Battista sono evidenziate quelle che
sono le caratteristiche dell’uomo davanti a Dio, per accogliere colui
che viene occorre essere come il Batista.
.
….

Mt 3, 1-12 

 

27 Novembre 2022 – I DOMENICA DI AVVENTO – ANNO A

Omelia di don Mario Testa _Domenica_27 11 2022   >>>

Vangelo

Vegliate, per essere pronti al suo arrivo.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 24,37-44

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Parola del Signore.

 


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Nel grembo del mondo lievita una vita nuova >>>

… Avvento: tempo per essere vigili, come madri in attesa, attenti alla vita che danza nei grembi, quelli di Maria e di Elisabetta, le prime profetesse, e nei grembi di «tutti gli atomi di Maria sparsi nel mondo e che hanno nome donna» (Giovanni Vannucci). Avvento è vita che nasce, a sussurrare che questo mondo porta un altro mondo nel grembo, con la sua danza lenta e testarda come il battito del cuore….


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Ricominciare >>> 

La prima domenica di Avvento fa sempre risuonare l’annuncio della venuta gloriosa del Signore. E questo annuncio va colto nella sua portata globale dall’insieme delle tre letture proposte dalla liturgia eucaristica: Antico Testamento (Is 2,1-5), Epistola (Rm 13,11-14a), Vangelo (Mt 24,37-44). Diversi sono i temi che le tre letture concorrono armonicamente a presentare e che forniscono materia per una revisione di vita così come per catechesi e predicazione. Fondamentale è la presentazione dell’evento escatologico al centro di questa domenica e di tutto il tempo dell’Avvento. L’evento decisivo della storia di salvezza profetizzato da Isaia e annunciato dal vangelo come “venuta del Figlio dell’Uomo” viene colto nella sua portata giudiziale: esso giudica le violenze e le guerre che gli uomini scatenano (I lettura); le immoralità in cui si perdono (II lettura); l’incoscienza e l’ignoranza colpevoli con cui si anestetizzano (vangelo). L’annuncio escatologico non è un messaggio spiritualistico, ma ha un impatto forte sulla storia dei popoli (I lettura), sulla quotidianità delle esistenze dei credenti (vangelo) e sul loro comportamento (II lettura). ….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Vegliate dunque!

Come viene il Figlio dell’uomo? Come ai tempi di Noè. Cosa si
faceva ai tempi di Noè? Quel che si fa in ogni tempo: si mangia, si
beve, ci si sposa; sono le cose normali della vita. La vita è mantenuta
dal cibo quella dell’individuo, quella della specie dalla riproduzione
quindi nulla di male, l’ha fatto Noè, l’hanno fatto gli altri. Qual è la
differenza? Uno ha costruito, nello stesso tempo, l’arca della
salvezza, gli altri non si sono accorti di nulla; sono vissuti
nell’incoscienza e sono periti nel diluvio. Cosa vuol dire? Che il
Signore viene nella vita quotidiana come ai tempi di Noè, mentre
facciamo tutte le cose normali. In quelle cose normali la persona
illuminata si costruisce la salvezza: mangia, beve si sposa fa tutto il
resto, facendo questo per amore di Dio per amore del prossimo si
realizza.
….

Mt 24, 32-51 

20 Novembre 2022 – XXXIV DOMENICA DEL T.O. – NOSTRO SIGNORE GESÚ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Omelia don Mario Testa 20 11 2022 >>>

Vangelo

Signore, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».
Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

Parola del Signore.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Il Signore è dentro al nostro dolore >>>

Sul Calvario, fra i tre condannati alla stessa tortura, Luca colloca l’ultima sua parabola sulla misericordia. Che comincia sulla bocca di un uomo, anzi di un delinquente, uno che nella sua impotenza di inchiodato alla morte, spreme, dalle spine del dolore, il miele della compassione per il compagno di croce Cristo. E prova a difenderlo in quella bolgia, e vorrebbe proteggerlo dalla derisione degli altri, con l’ultima voce che ha: non vedi che anche lui è nella stessa nostra pena? Parole come una rivelazione per noi: anche nella vita più contorta abita una briciola di bontà; nessuna vita, nessun uomo sono senza un grammo di luce. Un assassino è il primo a mettere in circuito lassù il sentimento della bontà, è lui che apre la porta, che offre un assist, e Gesù entra in quel regno di ordinaria, straordinaria umanità. Non vedi che patisce con noi? Una grande definizione di Dio: Dio è dentro il nostro patire, crocifisso in tutti gli infiniti crocifissi della storia, naviga in questo fiume di lacrime. La sua e nostra vita, un fiume solo. “Sei un Dio che pena nel cuore dell’uomo” (Turoldo).  …. >>>


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: L’altro malfattore, figura del discepolo  >>> 

L’ultima domenica dell’anno liturgico celebra Cristo quale Signore e re dell’universo. E nell’annata C tale regalità è espressa dall’episodio detto del “buon ladrone”, tratto dal racconto della passione di Gesù nel terzo vangelo (Lc 23,35-43). Prima di commentare il testo è necessaria una premessa riguardante proprio l’espressione sempre ripetuta di “buon ladrone”. La dizione più aderente al testo è “l’altro malfattore”. A differenza di Marco e Matteo che definiscono lēstaí (“briganti”: Mc 15,27; Mt 27,38.44) i due uomini crocifissi con Gesù, Luca parla di kakoûrgoi (“malfattori”). Il raro termine è tipico di Luca per designare i due condannati alla crocifissione insieme con Gesù (23,32.33.39). Meglio dunque tralasciare l’interpretazione moraleggiante che ha partorito il “buon ladrone” e restare fedeli al testo evangelico che assicura che quell’uomo non abita la sfera della bontà, ma della malvagità, come specifica la prima parte (kakós) del termine kakoûrgos. Quest’uomo è un malfattore, uno che ha operato il male, senza che sia specificato il delitto o i delitti di cui si è macchiato. Il testo lo definisce “l’altro” (ho héteros: Lc 23,40) malfattore, in quanto prende la parola dopo che il suo compagno di condanna ha bestemmiato Gesù. Dunque così, semplicemente, lo si può chiamare: l’altro malfattore. Accanto poi alla dimensione del “male”, Luca sottolinea quella del “fare”, presente nella seconda parte del composto kakoûrgos, “mal-fattore”, evocando a più riprese il fare o non-fare il male, l’agire o non-agire ingiustamente: Lc 23,31.32.33.34.39.41. Si pensi, in particolare, alle parole di Gesù che invocano il perdono per coloro che “non sanno quello che fanno” (v. 34) e a quelle dell’altro malfattore che, rivolgendosi al ladrone che bestemmia Gesù, gli ricorda che la pena a cui essi sono sottoposti è commisurata a quanto hanno commesso (“riceviamo il degno [castigo] di ciò che abbiamo fatto”) mentre Gesù “non ha fatto nulla di male” (v. 41). ….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Oggi con me sarai nel Paradiso
Padre, nelle tue mani affido il mio spirito.

Per avere l’idea dell’importanza di questo testo – e poi
entreremo nel testo –, l’ho già detto un’altra volta: c’è il pittore
Jacopo da Bassano che aveva dipinto la gloria dei santi in cielo, tutti
che contemplano Dio, la Trinità, e in fondo al quadro, invece, ci sono
due monache che, invece di guardare in alto, guardano il Crocifisso
perché è nel Crocifisso che si rivela tutto Dio. La croce è la distanza
infinita che Dio ha posto tra se stesso e tutte le falsificazioni di Dio,
tutti gli idoli. E si mostra per quello che è.

Lc 23, 35-43 

13 Novembre 2022 – XXXIII DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa, 12 Novembre 2022 – Lc 21,5-19 >>>

Vangelo

Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,5-19

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Parola del Signore.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: L’uomo è al sicuro nelle mani del Signore >>>

… Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Il Vangelo adotta linguaggio, immagini e simboli da fine del mondo; evoca un turbinare di astri e di pianeti in fiamme, l’immensità del cosmo che si consuma: eppure non è di questo che si appassiona il discorso di Gesù. Come in una ripresa cinematografica, la macchina da presa di Luca inizia con il campo largo e poi con una zoomata restringe progressivamente la visione: cerca un uomo, un piccolo uomo, al sicuro nelle mani di Dio. E continua ancora, fino a mettere a fuoco un solo dettaglio: neanche un capello del vostro capo andrà perduto. Allora non è la fine del mondo quella che Gesù fa intravvedere, ma il fine del mondo, del mio mondo. C’è una radice di distruttività nelle cose, nella storia, in me, la conosco fin troppo bene, ma non vincerà: nel mondo intero è all’opera anche una radice di tenerezza, che è più forte. Il mondo e l’uomo non finiranno nel fuoco di una conflagrazione nucleare, ma nella bellezza e nella tenerezza. Un giorno non resterà pietra su pietra delle nostre magnifiche costruzioni, delle piramidi millenarie, della magnificenza di San Pietro, ma l’uomo resterà per sempre, frammento su frammento, nemmeno il più piccolo capello andrà perduto …. >>>


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Occasioni evangeliche   >>> 

Avvicinandosi la fine dell’anno liturgico, il vangelo della penultima domenica (Lc 21,5-19) è tratto dal discorso escatologico lucano e si presenta come un’esortazione alla perseveranza e alla vigilanza rivolta da Gesù ai suoi ascoltatori che, attraverso la pagina evangelica, raggiunge i futuri credenti e li esorta a non lasciarsi prendere dalla paura e dall’angoscia di fronte a eventi catastrofici e a persecuzioni. Lungi dall’essere segno di una imminente fine del mondo, questi eventi vanno accolti come occasione di martyría (v. 13), di testimonianza. Nel testo evangelico odierno non si tratta della fine del mondo, ma di ciò che avviene “prima” (vv. 9.12), nella storia, che appare così il tempo della faticosa perseveranza.. ….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Non resterà pietra su pietra

La fine del tempio, luogo di Dio e principio di vita, è simbolo
della fine del mondo. Noi vogliamo sapere quando ciò avverrà
e quali saranno i segni. Come se, prevedendola, potessimo fare
qualcosa per evitarla. Ciò che Gesù dice sul futuro è la cronaca
di ogni giorno. Invece di spaventarci, siamo chiamati a vivere il
male, da sempre presente, con Gesù e come Gesù,
testimoniando un amore più forte di ogni male. Allora, come
sulla croce di Gesù, finisce il tempio e il mondo vecchio:
vediamo il vero Dio e nasce l’uomo nuovo, a sua immagine.

Lc 21, 8-24 

6 Novembre 2022 – XXXII DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa, 6 Novembre 2022 – Lc 20,27-38 >>>

Vangelo

Dio non è dei morti, ma dei viventi.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 20,27-38

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Non è la vita che vince la morte, ma l’amore >>>

Sono gli ultimi giorni di Gesù. I gruppi di potere, sacerdoti, anziani, farisei, scribi, sadducei sono uniti nel rifiuto di quel rabbì di periferia, sbucato dal nulla, che si arroga il potere di insegnare, senza averne l’autorità, senza nessuna carta in regola, un laico qualsiasi.

Lo contestano, lo affrontano, lo sfidano, un cerchio letale che gli si stringe intorno. In questo episodio adottano una strategia diversa: metterlo in ridicolo. La storiella paradossale di una donna, sette volte vedova e mai madre, è adoperata dai sadducei come caricatura della fede nella risurrezione dei morti: di quale dei sette fratelli che l’hanno sposata sarà moglie quella donna? Gesù, come è solito fare quando lo si vuole imprigionare in questioni di corto respiro, ci invita a pensare altrimenti e più in grande: Quelli che risorgono non prendono moglie né marito. La vita futura non è il prolungamento di quella presente. Coloro che sono morti non risorgono alla vita biologica ma alla vita di Dio. La vita eterna vuol dire vita dell’Eterno. …. >>>


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Credere l’incredibile  >>> 

…. Come questa storiella fittizia e anche grottesca riguarda il credente oggi? Cosa ci dice, se ci dice qualcosa? In realtà, il problema centrale del testo, la fede nella resurrezione, tocca da vicino l’uomo d’oggi e anche i credenti. Oggi alla posizione “colta” che critica il cristianesimo che con la resurrezione dimostrerebbe di non saper abitare il tragico come gli antichi greci, e a quella che vede nella resurrezione un’evasione nell’aldilà, un inverificabile happy end consolatorio apposto alla drammaticità della storia, si affiancano la reticenza e l’imbarazzo che spesso abitano gli stessi credenti di fronte alla fede nella resurrezione. A volte non siamo poi così distanti dalle posizioni dei Sadducei. Forse ci scandalizza di più la resurrezione che la morte di croce. Dunque, il primo messaggio che emerge dal testo è la fede nella resurrezione come scandalo. Ma è uno scandalo che si oppone all’ovvietà della morte. La resurrezione è tutto fuorché ovvia. È l’incredibile per eccellenza, e dunque il vero contenuto della fede che chiede di credere l’incredibile. La fede cristiana è fede nella resurrezione e la fede nella resurrezione è, tout court, la fede cristiana. Fede che Cristo è risorto dai morti e fede che i morti risorgeranno in Cristo. “Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede” (1Cor 15,17); “Se non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo è risorto!” (1Cor 15,13). ….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Dio non è di morti, ma di viventi
Il potere dell’uomo sull’uomo è dominio che dà morte ai vivi;
quello di Dio è servizio, che dà vita anche ai morti. I sadducei,
ricchi e materialisti, non credono nella risurrezione e ironizzano
con Gesù. Lui risponde che i risorti sono figli di Dio:
partecipano pienamente della sua vita. Come sia, per noi è
inimmaginabile: sarà una vita piena, nella gioia dell’amore
corrisposto. Il nostro non è un Dio dei morti, ma dei viventi, a
servizio della vita. a. Se la morte è la parola definitiva su tutto e
tutti, che senso avrebbe vivere? Dio sarebbe un Padre che ama
o un boia che uccide i suoi figli? Perché Giovanni (1Gv 3,14)
dice che sappiamo di essere passati dalla morte alla vita perché
amiamo i fratelli?

Lc 20, 27-40 

1 Novembre 2022 – TUTTI I SANTI – Solennità

Omelia don Mario Testa, TUTTI I SANTI – Mt 5,1-12a >>>

Vangelo

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,1-12a

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:
«Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto,
perché saranno consolati.
Beati i miti,
perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Parola del Signore.


 

30 Ottobre 2022 – XXXI DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa, Domenica 30 10 2022, Lc 19,1-10  >>>

Vangelo

Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 19,1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Zaccheo, non ci sono casi disperati per Gesù >>>

…. […]Il Vangelo è un libro di strade e di vento. E di incontri. Gesù conosceva l’arte dell’incontro, questo gesto povero e disarmato, potente e generativo. Siamo a Gerico, forse la più antica città del mondo. Gesù va alle radici del mondo, raggiunge le radici dell’umano. Gerico: simbolo di tutte le città che verranno dopo. C’è un uomo, piccolo di statura, ladro come ammette lui stesso alla fine, impuro e pubblicano (cioè un venduto) che riscuoteva le tasse per i romani: soldi, bustarelle, favori, un disonesto per definizione. E in più ricco, ladro e capo dei ladri di Gerico: è quello che si dice un caso disperato. Ma non ci sono casi disperati per il Signore. Zaccheo sarebbe l’insalvabile, e Gesù non solo lo salva, ma lo fa modello del discepolo. Gesù giunto sul luogo, alza lo sguardo verso il ramo su cui è seduto Zaccheo. Guarda dal basso verso l’alto, come quando si inginocchia a lavare i piedi ai discepoli. Il suo è uno sguardo che alza la vita, che ci innalza! Dio non ci guarda mai dall’alto in basso, ma sempre dal basso verso l’alto, con infinito rispetto. Noi lo cerchiamo nell’alto dei cieli e lui è inginocchiato ai nostri piedi. «Zaccheo, scendi subito, devo fermarmi a casa tua». Il nome proprio, prima di tutto. La misericordia è tenerezza che chiama ognuno per nome. “Devo”, dice Gesù. Dio deve venire: a cercarmi, a stare con me. È un suo intimo bisogno. Lui desidera me più di quanto io desideri lui. Verrà per un suo bisogno che gli urge nel cuore, perché lo spinge un fuoco e un’ansia. A Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l’ultima pecora, manco io. “Devo fermarmi”, non un semplice passaggio, non una visita di cortesia, e poi via di nuovo sulle strade; bensì “fermarmi”, prendendomi tutto il tempo che serve, perché quella casa non è una tappa del viaggio, ma la meta.. …


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Un incontro di desideri >>> 

La pagina evangelica inizia con l’annotazione dell’ingresso di Gesù in Gerico. E mentre attraversa la città, l’evangelista guida il nostro sguardo a soffermarsi su un personaggio ancora non comparso in scena nel terzo vangelo: Zaccheo. Luca lo presenta al lettore in maniera dettagliata. Di lui ricorda il nome proprio, Zaccheo, che significa “puro”, “giusto”; quindi ricorda la professione, Zaccheo occupava un posto di rilievo tra i funzionari addetti alla riscossione delle imposte (“capo dei pubblicani”); poi ricorda la sua situazione economica e dice che “era ricco”. E certo, presentando colui il cui nome rinvia all’idea di purezza e di giustizia, come pubblicano e ricco, l’evangelista fa percepire al lettore che il suo nome stride con i suoi comportamenti, cosa che sarà confermata da Zaccheo stesso quando confesserà di avere estorto e rubato. Ma l’annotazione più significativa è che costui è presentato anzitutto e prima di tutto come uomo: “un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco” (v. 2). Se più avanti Gesù dirà che anche Zaccheo “è figlio di Abramo” (v. 9), qui si dice che egli è anche e anzitutto un uomo. I suoi comportamenti saranno stati reprensibili, avrà compiuto ruberie, si sarà arricchito in modo disonesto, ma egli rimane un uomo ed è facendo fiducia alla sua umanità che Gesù potrà incontrarlo e toccare il suo cuore fino al punto che, liberamente, Zaccheo deciderà di cambiare i suoi comportamenti. Del resto, l’identità di una persona è fatta di numerosi strati, sono molti gli elementi che contribuiscono alla costruzione di un’identità, ma l’essenziale, ciò che rimane basilare è l’umanità di ogni persona.


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Oggi la salvezza venne in questa casa
Zaccheo ha tutte le caratteristiche di chi è perduto: è ricco,
imbroglione capo dei pubblicani, collaboratore degli
oppressori, odiato da tutti, … e piccolo. Per questo sarà
salvato. Lui vuol vedere Gesù, ma è Gesù che va in cerca di lui e
gli dice che deve dimorare in casa sua, oggi! Uno può vedere
senza essere visto. Questo è l’unico racconto del Vangelo dove
si dice che gli occhi di Gesù e di un altro si incontrano. È da
queto incrociarsi di sguardi che nasce la salvezza.

Lc 19, 1-810 

23 Ottobre 2022 – XXX DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa, Domenica 23 10 2022, Lc. 18, 9-14  >>>

Vangelo

Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Pregare è dare del “tu” a Dio e dimenticare se stessi >>>

…. Pregare è dare del tu a Dio. Ringraziando perché il centro della fede non è mai ciò che io faccio o non faccio per Dio, ma ciò che Lui fa per me. A ben guardare, quello che il fariseo adora non sono altro le norme della legge. Il dio a cui presta il suo culto è la regola. In realtà, i precetti della legge, dicono i rabbini, sono come la siepe che costeggia la strada, servono per non sbagliare strada, per non perdere la direzione, ma Dio non è la siepe: Lui è in fondo alla strada come un mondo che si apre, un abbraccio caldo, un oceano creativo, onda di luce e di pace. …


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Intime presunzioni >>> 

Come già il vangelo di domenica scorsa, anche quello della XXX domenica del tempo Ordinario (Lc 18,9-14) contiene un insegnamento sulla preghiera. Insegnamento affidato alla parabola del fariseo e del pubblicano al tempio, un testo presente soltanto nel terzo vangelo. Se Luca aveva specificato il fine per cui Gesù aveva raccontato la parabola della vedova insistente e del giudice iniquo (la necessità della preghiera perseverante: Lc 18,1), questa viene invece narrata avendo di mira dei destinatari precisi: “Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri” (Lc 18,9). Alla luce di Lc 16,15 in cui Gesù si rivolge ai farisei qualificandoli come coloro che “si ritengono giusti davanti agli uomini”, si può pensare che il più diretto “bersaglio” della parabola siano appunto i farisei, ma l’atteggiamento preso di mira nella parabola è una stortura religiosa che si verifica ovunque e abita anche le comunità cristiane, ed è certamente a questi destinatari che pensa Luca scrivendo il suo vangelo. È importante precisare questo per evitare letture caricaturali dei farisei e anche apertamente antisemite che purtroppo non sono mancate nella spiritualità cristiana anche nella lettura di questa parabola. ….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Due uomini salirono al tempio per pregare
Se la prima caratteristica della preghiera è la fede, la seconda è
l’umiltà. Senza fede la preghiera si spegne, senza umiltà
degenera in presunzione. La preghiera orgogliosa, propria di
chi si ritiene giusto, è un peccato. La preghiera umile, proprio
del peccatore, ci rende giusti

Lc 18, 9-814 

16 Ottobre 2022 – XXIX DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario TestaDomenica 16/10/22 ore 18.00  >>>

Vangelo

Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Parola del Signore.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Nel pregare non conta la quantità, ma la verità >>>

Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai. Molte volte ci siamo stancati! Le preghiere si alzavano in volo dal cuore, come colombe dall’arca del diluvio, e nessuna tornava indietro a portare una risposta. E mi sono chiesto molte volte: ma Dio esaudisce le nostre preghiere, si o no?
Bonhoeffer risponde: «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste, bensì le sue promesse». Pregate sempre… Pregare non equivale a dire preghiere. Mi sono sempre sentito inadeguato di fronte alle preghiere prolungate. E anche un pochino colpevole. Per la stanchezza e le distrazioni che aumentano in proporzione alla durata. Finché ho letto, nei Padri del deserto, che Evagrio il Pontico diceva: «Non compiacerti nel numero dei salmi che hai recitato: esso getta un velo sul tuo cuore. Vale di più una sola parola nell’intimità, che mille stando lontano».
Perché pregare è come voler bene. C’è sempre tempo per voler bene; se ami qualcuno, lo ami sempre, qualsiasi cosa tu stia facendo. «Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre» (S. Agostino). Quando uno ha Dio dentro, non occorre che stia sempre a pensarci. La donna incinta, anche se il pensiero non va in continuazione al bimbo che vive in lei, lo ama sempre, e diventa sempre più madre, ad ogni battito del cuore. Davanti a Dio non conta la quantità, ma la verità: mille anni sono come un giorno, gli spiccioli della vedova più delle offerte dei ricchi. Perché dentro c’è tutto il suo dolore, e la sua speranza. …. >>>


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Preghiera perseverante >>>

…Innanzitutto dalla parabola emerge che la preghiera rende forte una persona debole. Una vedova, che sembra non avere nemmeno figli, o quantomeno non se ne fa menzione, è in una posizione sociale ed economica non solo irrilevante, ma anche esposta a soprusi, abusi ed egoismi da parte di persone prepotenti. Una donna vedova è senza difesa e personifica la debolezza e la dipendenza. La donna nomina infatti un avversario (antídikos: v. 3) da cui vorrebbe ottenere protezione in sede giudiziaria, ma il giudice della città (vv. 2.3), come specifica il Signore stesso, è un “giudice ingiusto” (kritès tês adikías: v. 6). Come dire: dalla padella alla brace. Il vocabolario del testo (vv. 3.5.6.7.8) fa emergere un problema grave riguardante la giustizia. La vedova subisce ingiustizia da parte di prepotenti nell’assoluta indifferenza di chi dovrebbe assicurare la giustizia. Non avendo mezzi economici e neppure relazioni su cui appoggiarsi, la donna fa ricorso all’unica sua risorsa: l’insistenza, l’ostinazione. Essa “andava da lui dicendo: ‘Fammi giustizia dal mio avversario’” (v. 3): l’imperfetto indica un’attività ripetuta, reiterata. La costanza della donna diviene insegnamento circa la potenza della preghiera: questa si manifesta anzitutto nel rendere forte chi è debole. La donna si impegna in una lotta impari e da cui non ha alcuna possibilità di uscire vincitrice. Eppure la preghiera può tirar fuori da una persona una forza e un coraggio che la persona da sé non si saprebbe dare e che essa stessa si stupisce di avere o meglio, di ricevere, perché non proviene da lei. La forza di cui la preghiera irrobustisce chi la pratica è connessa alla fede….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Bisogna pregare sempre, senza scoraggiarsi
La preghiera è la nostra comunione con il Figlio e con il Padre,
che ci mette in comunione con il creato come dono e con gli
altri come fratelli: è la vita umana, pienamente realizzata. Per
questo bisogna pregare sempre. Senza però scoraggiarsi se Dio
sembra sordo ad ascoltare la nostra preghiera. Infatti non è
importante ciò che ci dà: importante è che noi stiamo con lui e
abbiamo fiducia in lui. Questo è il vero frutto della preghiera.

Lc 18, 1-8 

9 Ottobre 2022 – XXVIII DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa – Domenica 09/10/22 ore 11.00 (Cresime) >>>

Vangelo

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17,11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Il «grazie» del lebbroso a Gesù fonte di Salvezza >>>

E mentre andavano furono guariti. Il Vangelo è pieno di guariti, sono come il corteo gioioso che accompagna l’annuncio di Gesù: Dio è qui, è con noi, coinvolto prima nelle piaghe dei dieci lebbrosi, e poi nello stupore dell’unico che torna cantando.
Mentre vanno sono guariti… i dieci lebbrosi si sono messi in cammino ancora malati, ed è il viaggio ad essere guaritore, il primo passo, la terra di mezzo dove la speranza diventa più potente della lebbra, spalanca orizzonti e porta via dalla vita immobile.
Il verbo all’imperfetto (mentre andavano) narra di una azione continuativa, lenta, progressiva; passo dopo passo, un piede dietro l’altro, a poco a poco. Guarigione paziente come la strada. …


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Fede eucaristica >>>

Il vangelo di questa domenica presenta un episodio che si trova nel solo vangelo secondo Luca: l’incontro di Gesù con dieci lebbrosi che vengono guariti dalla loro malattia e, in particolare, con l’unico di loro, un Samaritano, che ritorna da Gesù per ringraziarlo di quanto avvenuto (Lc 17,11-19). Il testo è strutturato in maniera bipartita: una prima parte presenta Gesù faccia a faccia con i dieci lebbrosi (vv. 11-14); la seconda mostra il ritorno del Samaritano guarito da Gesù (vv. 15-19). Si potrebbe pensare che la breve narrazione sia, quanto al genere letterario, un racconto di miracolo, ma l’accento è posto ben più sul comportamento dei lebbrosi guariti, e soprattutto sul comportamento del Samaritano che torna indietro per rendergli grazie (eucharistôn autô: v. 16), che non sull’azione terapeutica di Gesù. Tra l’altro, qui si tratta di una guarigione a distanza, in cui Gesù non tocca nemmeno i malati, a differenza di quanto avvenuto nell’incontro con il lebbroso narrato in Lc 5,12-16. Dunque, se tutti e dieci i lebbrosi trovano la guarigione, solo il Samaritano si sente rivolgere da Gesù le parole “la tua fede ti ha salvato” (v. 19). Tutti guariti, uno solo salvato. E questo a partire dall’atto di ringraziamento che il Samaritano compie. Dopo le parole sulla fede (Lc 17,5-6), questo racconto sottolinea che la fede è sempre grata, è sempre eucaristica, è sempre capace di azione di grazie. La fede porta il credente a ritenere che tutto è grazia, a credere che non solo ciò che egli ha (“Che cosa hai tu che non hai ricevuto?”: 1Cor 4,7), ma anche ciò che lui è, sta sotto il segno del dono preveniente di Dio, e questo rende la fede costitutivamente eucaristica. Potremmo dire che eucháristos, “capace di rendimento di grazie”, è il nome del cristiano. …


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Gesù Maestro, abbi pietà di noi!
I dieci lebbrosi rappresentano l’umanità intera, infetta di
peccato e di morte, incapace di fare il cammino della vita. Gesù
ordina a tutti di camminare, così come sono: li guarirà nel
cammino che lui stesso fa a Gerusalemme, per dare la sua vita
per tutti. Chi prende coscienza del dono ricevuto, torna a lui
per ringraziarlo della salvezza data a tutti: fa eucaristia. E Gesù
lo invia agli altri perché facciano altrettanto e possano vivere la
comunione con lui, con il Padre e con i fratelli.

Lc 17, 11-19