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30 Ottobre 2022 – XXXI DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa, Domenica 30 10 2022, Lc 19,1-10  >>>

Vangelo

Il Figlio dell’uomo era venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 19,1-10

In quel tempo, Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando, quand’ecco un uomo, di nome Zacchèo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché doveva passare di là.
Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zacchèo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È entrato in casa di un peccatore!».
Ma Zacchèo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto».
Gesù gli rispose: «Oggi per questa casa è venuta la salvezza, perché anch’egli è figlio di Abramo. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Zaccheo, non ci sono casi disperati per Gesù >>>

…. […]Il Vangelo è un libro di strade e di vento. E di incontri. Gesù conosceva l’arte dell’incontro, questo gesto povero e disarmato, potente e generativo. Siamo a Gerico, forse la più antica città del mondo. Gesù va alle radici del mondo, raggiunge le radici dell’umano. Gerico: simbolo di tutte le città che verranno dopo. C’è un uomo, piccolo di statura, ladro come ammette lui stesso alla fine, impuro e pubblicano (cioè un venduto) che riscuoteva le tasse per i romani: soldi, bustarelle, favori, un disonesto per definizione. E in più ricco, ladro e capo dei ladri di Gerico: è quello che si dice un caso disperato. Ma non ci sono casi disperati per il Signore. Zaccheo sarebbe l’insalvabile, e Gesù non solo lo salva, ma lo fa modello del discepolo. Gesù giunto sul luogo, alza lo sguardo verso il ramo su cui è seduto Zaccheo. Guarda dal basso verso l’alto, come quando si inginocchia a lavare i piedi ai discepoli. Il suo è uno sguardo che alza la vita, che ci innalza! Dio non ci guarda mai dall’alto in basso, ma sempre dal basso verso l’alto, con infinito rispetto. Noi lo cerchiamo nell’alto dei cieli e lui è inginocchiato ai nostri piedi. «Zaccheo, scendi subito, devo fermarmi a casa tua». Il nome proprio, prima di tutto. La misericordia è tenerezza che chiama ognuno per nome. “Devo”, dice Gesù. Dio deve venire: a cercarmi, a stare con me. È un suo intimo bisogno. Lui desidera me più di quanto io desideri lui. Verrà per un suo bisogno che gli urge nel cuore, perché lo spinge un fuoco e un’ansia. A Dio manca qualcosa, manca Zaccheo, manca l’ultima pecora, manco io. “Devo fermarmi”, non un semplice passaggio, non una visita di cortesia, e poi via di nuovo sulle strade; bensì “fermarmi”, prendendomi tutto il tempo che serve, perché quella casa non è una tappa del viaggio, ma la meta.. …


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Un incontro di desideri >>> 

La pagina evangelica inizia con l’annotazione dell’ingresso di Gesù in Gerico. E mentre attraversa la città, l’evangelista guida il nostro sguardo a soffermarsi su un personaggio ancora non comparso in scena nel terzo vangelo: Zaccheo. Luca lo presenta al lettore in maniera dettagliata. Di lui ricorda il nome proprio, Zaccheo, che significa “puro”, “giusto”; quindi ricorda la professione, Zaccheo occupava un posto di rilievo tra i funzionari addetti alla riscossione delle imposte (“capo dei pubblicani”); poi ricorda la sua situazione economica e dice che “era ricco”. E certo, presentando colui il cui nome rinvia all’idea di purezza e di giustizia, come pubblicano e ricco, l’evangelista fa percepire al lettore che il suo nome stride con i suoi comportamenti, cosa che sarà confermata da Zaccheo stesso quando confesserà di avere estorto e rubato. Ma l’annotazione più significativa è che costui è presentato anzitutto e prima di tutto come uomo: “un uomo, di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco” (v. 2). Se più avanti Gesù dirà che anche Zaccheo “è figlio di Abramo” (v. 9), qui si dice che egli è anche e anzitutto un uomo. I suoi comportamenti saranno stati reprensibili, avrà compiuto ruberie, si sarà arricchito in modo disonesto, ma egli rimane un uomo ed è facendo fiducia alla sua umanità che Gesù potrà incontrarlo e toccare il suo cuore fino al punto che, liberamente, Zaccheo deciderà di cambiare i suoi comportamenti. Del resto, l’identità di una persona è fatta di numerosi strati, sono molti gli elementi che contribuiscono alla costruzione di un’identità, ma l’essenziale, ciò che rimane basilare è l’umanità di ogni persona.


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Oggi la salvezza venne in questa casa
Zaccheo ha tutte le caratteristiche di chi è perduto: è ricco,
imbroglione capo dei pubblicani, collaboratore degli
oppressori, odiato da tutti, … e piccolo. Per questo sarà
salvato. Lui vuol vedere Gesù, ma è Gesù che va in cerca di lui e
gli dice che deve dimorare in casa sua, oggi! Uno può vedere
senza essere visto. Questo è l’unico racconto del Vangelo dove
si dice che gli occhi di Gesù e di un altro si incontrano. È da
queto incrociarsi di sguardi che nasce la salvezza.

Lc 19, 1-810 

23 Ottobre 2022 – XXX DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa, Domenica 23 10 2022, Lc. 18, 9-14  >>>

Vangelo

Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,9-14

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:
«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.
Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Pregare è dare del “tu” a Dio e dimenticare se stessi >>>

…. Pregare è dare del tu a Dio. Ringraziando perché il centro della fede non è mai ciò che io faccio o non faccio per Dio, ma ciò che Lui fa per me. A ben guardare, quello che il fariseo adora non sono altro le norme della legge. Il dio a cui presta il suo culto è la regola. In realtà, i precetti della legge, dicono i rabbini, sono come la siepe che costeggia la strada, servono per non sbagliare strada, per non perdere la direzione, ma Dio non è la siepe: Lui è in fondo alla strada come un mondo che si apre, un abbraccio caldo, un oceano creativo, onda di luce e di pace. …


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Intime presunzioni >>> 

Come già il vangelo di domenica scorsa, anche quello della XXX domenica del tempo Ordinario (Lc 18,9-14) contiene un insegnamento sulla preghiera. Insegnamento affidato alla parabola del fariseo e del pubblicano al tempio, un testo presente soltanto nel terzo vangelo. Se Luca aveva specificato il fine per cui Gesù aveva raccontato la parabola della vedova insistente e del giudice iniquo (la necessità della preghiera perseverante: Lc 18,1), questa viene invece narrata avendo di mira dei destinatari precisi: “Disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri” (Lc 18,9). Alla luce di Lc 16,15 in cui Gesù si rivolge ai farisei qualificandoli come coloro che “si ritengono giusti davanti agli uomini”, si può pensare che il più diretto “bersaglio” della parabola siano appunto i farisei, ma l’atteggiamento preso di mira nella parabola è una stortura religiosa che si verifica ovunque e abita anche le comunità cristiane, ed è certamente a questi destinatari che pensa Luca scrivendo il suo vangelo. È importante precisare questo per evitare letture caricaturali dei farisei e anche apertamente antisemite che purtroppo non sono mancate nella spiritualità cristiana anche nella lettura di questa parabola. ….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Due uomini salirono al tempio per pregare
Se la prima caratteristica della preghiera è la fede, la seconda è
l’umiltà. Senza fede la preghiera si spegne, senza umiltà
degenera in presunzione. La preghiera orgogliosa, propria di
chi si ritiene giusto, è un peccato. La preghiera umile, proprio
del peccatore, ci rende giusti

Lc 18, 9-814 

16 Ottobre 2022 – XXIX DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario TestaDomenica 16/10/22 ore 18.00  >>>

Vangelo

Dio farà giustizia ai suoi eletti che gridano verso di lui.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 18,1-8

In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai:
«In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”.
Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”».
E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».

Parola del Signore.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Nel pregare non conta la quantità, ma la verità >>>

Disse una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai. Molte volte ci siamo stancati! Le preghiere si alzavano in volo dal cuore, come colombe dall’arca del diluvio, e nessuna tornava indietro a portare una risposta. E mi sono chiesto molte volte: ma Dio esaudisce le nostre preghiere, si o no?
Bonhoeffer risponde: «Dio esaudisce sempre, ma non le nostre richieste, bensì le sue promesse». Pregate sempre… Pregare non equivale a dire preghiere. Mi sono sempre sentito inadeguato di fronte alle preghiere prolungate. E anche un pochino colpevole. Per la stanchezza e le distrazioni che aumentano in proporzione alla durata. Finché ho letto, nei Padri del deserto, che Evagrio il Pontico diceva: «Non compiacerti nel numero dei salmi che hai recitato: esso getta un velo sul tuo cuore. Vale di più una sola parola nell’intimità, che mille stando lontano».
Perché pregare è come voler bene. C’è sempre tempo per voler bene; se ami qualcuno, lo ami sempre, qualsiasi cosa tu stia facendo. «Il desiderio prega sempre, anche se la lingua tace. Se tu desideri sempre, tu preghi sempre» (S. Agostino). Quando uno ha Dio dentro, non occorre che stia sempre a pensarci. La donna incinta, anche se il pensiero non va in continuazione al bimbo che vive in lei, lo ama sempre, e diventa sempre più madre, ad ogni battito del cuore. Davanti a Dio non conta la quantità, ma la verità: mille anni sono come un giorno, gli spiccioli della vedova più delle offerte dei ricchi. Perché dentro c’è tutto il suo dolore, e la sua speranza. …. >>>


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Preghiera perseverante >>>

…Innanzitutto dalla parabola emerge che la preghiera rende forte una persona debole. Una vedova, che sembra non avere nemmeno figli, o quantomeno non se ne fa menzione, è in una posizione sociale ed economica non solo irrilevante, ma anche esposta a soprusi, abusi ed egoismi da parte di persone prepotenti. Una donna vedova è senza difesa e personifica la debolezza e la dipendenza. La donna nomina infatti un avversario (antídikos: v. 3) da cui vorrebbe ottenere protezione in sede giudiziaria, ma il giudice della città (vv. 2.3), come specifica il Signore stesso, è un “giudice ingiusto” (kritès tês adikías: v. 6). Come dire: dalla padella alla brace. Il vocabolario del testo (vv. 3.5.6.7.8) fa emergere un problema grave riguardante la giustizia. La vedova subisce ingiustizia da parte di prepotenti nell’assoluta indifferenza di chi dovrebbe assicurare la giustizia. Non avendo mezzi economici e neppure relazioni su cui appoggiarsi, la donna fa ricorso all’unica sua risorsa: l’insistenza, l’ostinazione. Essa “andava da lui dicendo: ‘Fammi giustizia dal mio avversario’” (v. 3): l’imperfetto indica un’attività ripetuta, reiterata. La costanza della donna diviene insegnamento circa la potenza della preghiera: questa si manifesta anzitutto nel rendere forte chi è debole. La donna si impegna in una lotta impari e da cui non ha alcuna possibilità di uscire vincitrice. Eppure la preghiera può tirar fuori da una persona una forza e un coraggio che la persona da sé non si saprebbe dare e che essa stessa si stupisce di avere o meglio, di ricevere, perché non proviene da lei. La forza di cui la preghiera irrobustisce chi la pratica è connessa alla fede….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Bisogna pregare sempre, senza scoraggiarsi
La preghiera è la nostra comunione con il Figlio e con il Padre,
che ci mette in comunione con il creato come dono e con gli
altri come fratelli: è la vita umana, pienamente realizzata. Per
questo bisogna pregare sempre. Senza però scoraggiarsi se Dio
sembra sordo ad ascoltare la nostra preghiera. Infatti non è
importante ciò che ci dà: importante è che noi stiamo con lui e
abbiamo fiducia in lui. Questo è il vero frutto della preghiera.

Lc 18, 1-8 

9 Ottobre 2022 – XXVIII DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa – Domenica 09/10/22 ore 11.00 (Cresime) >>>

Vangelo

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17,11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Il «grazie» del lebbroso a Gesù fonte di Salvezza >>>

E mentre andavano furono guariti. Il Vangelo è pieno di guariti, sono come il corteo gioioso che accompagna l’annuncio di Gesù: Dio è qui, è con noi, coinvolto prima nelle piaghe dei dieci lebbrosi, e poi nello stupore dell’unico che torna cantando.
Mentre vanno sono guariti… i dieci lebbrosi si sono messi in cammino ancora malati, ed è il viaggio ad essere guaritore, il primo passo, la terra di mezzo dove la speranza diventa più potente della lebbra, spalanca orizzonti e porta via dalla vita immobile.
Il verbo all’imperfetto (mentre andavano) narra di una azione continuativa, lenta, progressiva; passo dopo passo, un piede dietro l’altro, a poco a poco. Guarigione paziente come la strada. …


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Fede eucaristica >>>

Il vangelo di questa domenica presenta un episodio che si trova nel solo vangelo secondo Luca: l’incontro di Gesù con dieci lebbrosi che vengono guariti dalla loro malattia e, in particolare, con l’unico di loro, un Samaritano, che ritorna da Gesù per ringraziarlo di quanto avvenuto (Lc 17,11-19). Il testo è strutturato in maniera bipartita: una prima parte presenta Gesù faccia a faccia con i dieci lebbrosi (vv. 11-14); la seconda mostra il ritorno del Samaritano guarito da Gesù (vv. 15-19). Si potrebbe pensare che la breve narrazione sia, quanto al genere letterario, un racconto di miracolo, ma l’accento è posto ben più sul comportamento dei lebbrosi guariti, e soprattutto sul comportamento del Samaritano che torna indietro per rendergli grazie (eucharistôn autô: v. 16), che non sull’azione terapeutica di Gesù. Tra l’altro, qui si tratta di una guarigione a distanza, in cui Gesù non tocca nemmeno i malati, a differenza di quanto avvenuto nell’incontro con il lebbroso narrato in Lc 5,12-16. Dunque, se tutti e dieci i lebbrosi trovano la guarigione, solo il Samaritano si sente rivolgere da Gesù le parole “la tua fede ti ha salvato” (v. 19). Tutti guariti, uno solo salvato. E questo a partire dall’atto di ringraziamento che il Samaritano compie. Dopo le parole sulla fede (Lc 17,5-6), questo racconto sottolinea che la fede è sempre grata, è sempre eucaristica, è sempre capace di azione di grazie. La fede porta il credente a ritenere che tutto è grazia, a credere che non solo ciò che egli ha (“Che cosa hai tu che non hai ricevuto?”: 1Cor 4,7), ma anche ciò che lui è, sta sotto il segno del dono preveniente di Dio, e questo rende la fede costitutivamente eucaristica. Potremmo dire che eucháristos, “capace di rendimento di grazie”, è il nome del cristiano. …


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Gesù Maestro, abbi pietà di noi!
I dieci lebbrosi rappresentano l’umanità intera, infetta di
peccato e di morte, incapace di fare il cammino della vita. Gesù
ordina a tutti di camminare, così come sono: li guarirà nel
cammino che lui stesso fa a Gerusalemme, per dare la sua vita
per tutti. Chi prende coscienza del dono ricevuto, torna a lui
per ringraziarlo della salvezza data a tutti: fa eucaristia. E Gesù
lo invia agli altri perché facciano altrettanto e possano vivere la
comunione con lui, con il Padre e con i fratelli.

Lc 17, 11-19 

2 Ottobre 2022 – XXVII DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa – sabato 1/10/22 ore 18.00  >>>

Vangelo

Rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti nei cieli.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,17-24

In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: L’enorme potenza di una fede minuscola >>>

… «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” e vi obbedirebbe”. Gusto la bellezza e la forza del linguaggio di Gesù e della sua carica immaginifica: il più piccolo tra tutti i semi intrecciato a grandi alberi che danzano sul mare! Un granello di fede possiede la potenza di sradicare gelsi e la leggerezza del seme che si schiude nel silenzio; un niente che è tutto, leggero e forte. Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape, una formichina, come dice il poeta J. Twardowski: «anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede»….. >>>


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: La fede, dono per il quotidiano >>>

… Gesù ha appena parlato dell’inevitabilità del sorgere di scandali nello spazio ecclesiale (Lc 17,1-3a) e ha invitato a correggere chi pecca e a perdonare all’infinito chi, dopo aver peccato, si pente e riconosce apertamente il proprio peccato (17,3b-5). In questo contesto si comprende la preghiera dei discepoli di veder accresciuta la loro fede. Come reggere il peso degli scandali, degli ostacoli alla vita di comunione, dell’inciampo posto ai più piccoli e semplici nello spazio ecclesiale? Come esercitare una correzione fraterna che non schiacci il fratello ma lo liberi? Come perdonare ancora e sempre chi ogni volta si pente? Solo nella fede. Non si tratta di far finta di niente o di lasciar correre, ma di perdonare, ovvero di riconoscere, nominare e assumere il male che avviene nella comunità e di portarne il peso cercando il ravvedimento di chi ha posto ostacoli al vangelo e alla comunione comunitaria, perseguendo dunque il bene della comunità.  …. >>>


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Gioite invece che i vostri nomi sono scritti nei cieli.
Il frutto di questa missione: gioia per la vittoria su satana e la
riconciliazione con la natura. Ma la vera gioia del discepolo è
che, andando verso i fratelli, lui stesso diventa figlio di Dio.

Lc 10, 17-24 

25 Settembre 2022 – XXVI DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa >>>

Vangelo

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Attenzione agli invisibili. Vi si rifugia l’eterno  >>>

Storia di un ricco, di un mendicante e di un “grande abisso” scavato tra le persone. Che cosa scava fossati tra noi e ci separa? Come si scavalcano? Storia da cui emerge il principio etico e morale decisivo: prendersi cura dell’umano contro il disumano. Primo tempo: due protagonisti che si incrociano e non si parlano, uno è vestito di piaghe, l’altro di porpora; uno vive come un nababbo, in una casa lussuosa, l’altro è malato, abita la strada, disputa qualche briciola ai cani. È questo il mondo sognato da Dio per i suoi figli? Un Dio che non è mai nominato nella parabola, eppure è lì: non abita la luce ma le piaghe di un povero; non c’è posto per lui dentro il palazzo, perché Dio non è presente dove è assente il cuore. Forse il ricco è perfino un devoto e prega: “ o Dio tendi l’orecchio alla mia supplica” , mentre è sordo al lamento del povero. Lo scavalca ogni giorno come si fa con una pozzanghera. Di fermarsi, di toccarlo neppure l’idea: il povero è invisibile a chi ha perduto gli occhi del cuore. Quanti invisibili nelle nostre città, nei nostri paesi! Attenzione agli invisibili, vi si rifugia l’eterno. …. >>>


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: Quale sguardo sull’altro? >>>

Nella pagina evangelica la necessità di ascoltare Mosè e i Profeti, ovverosia la Scrittura, si accompagna all’istanza di vedere, ascoltare e aver cura del povero, dell’altro, di colui che ci è accanto – Lazzaro giaceva davanti alla porta della casa del ricco – e soprattutto di riconoscere in lui un fratello. Perché sia il ricco che Lazzaro sono figli di Abramo, ma il ricco, che pure si rivolge ad Abramo chiamandolo “padre” non riconosce in Lazzaro un fratello, e in vita lo ignora, mentre nell’aldilà, quando Lazzaro è nel seno di Abramo, ancora lo tratta come un servo, con disprezzo, uno che lui usa e che può trattare come una pezza da piedi: “manda Lazzaro a dissetarmi, manda Lazzaro dai miei fratelli”. Il testo ci interpella sullo sguardo che portiamo (o non portiamo) sull’altro. Il ricco non ha mai visto Lazzaro in vita, e dopo morte, nella visione che Luca presenta dell’aldilà, lo vede come un servo. Mai come un fratello.


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Ora qui lui è consolato, tu invece travagliato.
Riprende un tema caro a Luca: il povero, gettato alla nostra
porta, è il Cristo che ci salva. Invece di scavare l’abisso tra me e
lui, sono chiamato a colmarlo: dando al fratello, divento io
stesso figlio.

Lc 16, 19-31 

18 Settembre 2022 – XXV DOMENICA DEL T.O.

Omelia don Mario Testa >>>

Vangelo

Non potete servire Dio e la ricchezza.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 16,1-13

In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: La vera ricchezza «è farsi degli amici» >>>

Un’altra parabola dal finale spiazzante: il truffato loda il suo truffatore. La lode del signore però ha un bersaglio preciso, non si riferisce alla disonestà dell’amministratore, ma alla sua scaltrezza (lodò quell’uomo perché aveva agito con scaltrezza). Ha saputo fermarsi a pensare (disse tra sé: cosa farò?) e lì ha incominciato a capire la differenza tra falsa ricchezza e vera ricchezza. Poi ha iniziato a usare il patrimonio economico per crearsi il vero patrimonio, quello relazionale: farsi degli amici che lo accolgano.
Siediti e scrivi cinquanta, prendi la ricevuta e scrivi ottanta…. >>>


Luciano Manicardi, Monastero di Bose: La discriminante nella sequela >>>

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Le parole di Gesù sulla fedeltà (cf. Lc 16,10-12) argomentano a partire dalla parabola in maniera decisamente differente: non è più questione di dare i beni e di condividere, ma di mostrarsi affidabili e onesti nelle cose piccole, perché solo così si sarà giudicati degni di vedersi accordare fiducia per incarichi o cose più rilevanti. Queste parole svelano che vi è una gerarchia di realtà con differente valore: c’è un “poco” e c’è un “molto”, c’è una ricchezza materiale e c’è una vera ricchezza, una ricchezza non quantificabile in cui consiste la propria personale verità. Una ricchezza fatta di umanità, vero capitale che il Dio creatore ha donato all’uomo in forma di immagine e somiglianza con lui.

Ma tutto si conclude con le parole forti che pongono un aut-aut, una discriminante che non può non interpellare il nostro oggi. Gesù pone un insanabile contrasto tra “servire Dio e servire il denaro”: “Nessun servo può … Non potete” (Lc 16,13). Questa affermazione resta una spina nel fianco di cristiani e chiese ricche che vivono in una società opulenta. Il vangelo non dà ricette, ma la domanda va almeno fatta risuonare: l’abbondanza di mezzi economici, la potenza di mezzi culturali non rende forse illusoria la sequela Christi? E non la rende anche poco credibile?


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html)

Ora so che farò!
La misericordia del Padre entra anche nell’uso dei beni. Il figlio
non farà come il padrone stolto che accumula ricchezze,
dividendosi dal Padre e dai fratelli. Farà come questo
amministratore: prima era disonesto, perché si appropriava di
ciò che non è suo. Ora diventa saggio e sa che fare: se il suo
Signore dona e perdona tutto a tutti, anche lui comincia un po’
a donare e perdonare. Questa è la volontà di Dio nell’usi dei
beni, per essere accolti nelle dimore eterne.

Lc 16, 1-9 

11 Settembre 2022 – XXIV DOMENICA DEL T.O.

Celebrazione a Castagneto – La diretta dell’omelia di don Mario Testa su Facebook >>> – Omelia di don Mario .mp3 >>>

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Vangelo

Ci sarà gioia in cielo per un solo peccatore che si converte.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 15,1-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini, e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte».
Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: L’amore non è giusto ma divina «follia» >>>

Si è persa una pecora, si perde una moneta, si perde un figlio. Si direbbero quasi le sconfitte di Dio. E invece protagonisti delle parabole sono un pastore che sfida il deserto, una donna che non si dà pace per la moneta che non trova, un padre tormentato, esperto in abbracci, che non si arrende e non smette di vegliare. Le tre parabole della misericordia sono il vangelo del vangelo. Noi possiamo perdere Dio, ma lui non ci perderà mai. Nessuna pagina al mondo raggiunge come questa l’essenziale del rapporto con noi stessi, con gli altri, con Dio. …..


 

4 Settembre 2022 – XXIII DOMENICA del T.O.

 

Vangelo

Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,25-33

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».


 

 

28 Agosto 2022 – XXII DOMENICA del T.O.

Vangelo

Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,1.7-14

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».