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Domenica 19 Giugno – SS. CORPO E SANGUE DI CRISTO – Solennità

Omelia don Mario Testa – Celebrazione ore 19.00 >>>

Vangelo

Tutti mangiarono a sazietà.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9,11b-17

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.


 

Domenica 12 Giugno 2022 – SANTISSIMA TRINITÁ – Solennità

Vangelo

Tutto quello che il Padre possiede, è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,12-15

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: La Trinità è sorgente di sapienza del vivere >>>

Trinità: un solo Dio in tre persone. Dogma che non capisco, eppure liberante perché mi assicura che Dio non è in se stesso solitudine, che l’oceano della sua essenza vibra di un infinito movimento d’amore. C’è in Dio reciprocità, scambio, superamento di sé, incontro, abbraccio. L’essenza di Dio è comunione.
Il dogma della Trinità non è una teoria dove si cerca di far coincidere il Tre e l’Uno, ma è sorgente di sapienza del vivere. E se Dio si realizza solo nella comunione, così sarà anche per l’uomo. Aveva detto in principio: «Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza». Non solo a immagine di Dio: molto di più! L’uomo è fatto a somiglianza della Trinità. Ad immagine e somiglianza della comunione, di un legame d’amore, mistero di singolare e plurale. In principio a tutto, per Dio e per me, c’è la relazione. In principio a tutto qualcosa che mi lega a qualcuno, a molti. Così è per tutte le cose, tutto è in comunione. ….


Comunità di Bose: Comunione che si comunica   >>>

Il mistero della Trinità divina, al centro della celebrazione odierna, sottolinea che il Dio che si comunica all’umanità nello Spirito e nel Figlio Gesù Cristo è il Dio che è comunione e comunicazione in sé stesso. La Trinità, che esprime il “come” dell’unità di Dio e la esprime in termini di comunione interpersonale, fonda il fatto che noi possiamo parlare di Dio solo in termini di comunione. Se Dio è comunione nel suo stesso essere, se lo Spirito è Spirito di comunione e se Cristo è “persona comunitaria” inscindibile dal suo corpo che è la chiesa, allora la comunione è la natura stessa della chiesa: la chiesa di Dio o è comunione o non è.

Dalla Trinità divina discende anche la visione della persona umana come relazionale: nella Trinità ogni persona è per l’altro e la persona umana si realizza nella relazione con l’altro. E discende la concezione dell’intangibilità e inalienabilità della persona umana: come i nomi delle tre persone trinitarie non sono confusi né interscambiabili, così la persona umana è un valore in sé, è un fine e non un mezzo, è una grandezza non sacrificabile a interessi sociali o pubblici o di altro tipo. …


Conviene a voi che io me ne vada.
Se non me ne vado, il Consolatore non verrà da voi
I discepoli sono tristi perché Gesù se ne va. Ma proprio nel suo
andarsene ci dimostrerà tutto il suo amore e ci darà il suo
Spirito. Questi sarà il nostro consolatore: non ci lascerà mai
soli, ci farà entrare nel mistero del Figlio e ci farà capire tutta la
verità, di Dio e di noi stessi. E l’unica verità che conta è che lui
ci ama di amore infinito e noi siamo infinitamente amati da lui.

 

Gv 16, 4b-15 

5 Giugno 2022 – Pentecoste – Solennità

Vangelo

Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14,15-16.23b-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Il vento dello Spirito che porta la libertà >>>

Lo Spirito Santo, il misterioso cuore del mondo, il vento sugli abissi, l’Amore in ogni amore, è Dio in libertà, un vento che porta pollini dove vuole primavere, che non lascia dormire la polvere, che si abbatte su ogni vecchia Gerusalemme. Dio in libertà, che non sopporta statistiche, che nella vita e nella Bibbia non segue mai degli schemi. Libero e liberante come lo è il vento, la cosa più libera che ci sia, che alle volte è una brezza leggera, alle volte un uragano che scuote la casa; che è voce di silenzio sottile, ma anche fuoco ardente chiuso dentro le ossa del profeta (Ger 20,9). Pentecoste è una festa rivoluzionaria di cui non abbiamo ancora colto appieno la portata. Lo Spirito «vi insegnerà ogni cosa»: lui ama insegnare, accompagnare oltre, far scoprire paesaggi inesplorati, portare i credenti a vivere in «modalità esplorativa», non come esecutori di ordini, ma come inventori si strade.  …


Luciano Manicardi, monastero di Bose: La vita secondo lo Spirito   >>>

Con la Pentecoste noi contempliamo il compimento della Pasqua del Signore e il compimento implica l’inclusione del credente nella Pasqua. Il dono dello Spirito opera il passaggio da Cristo al cristiano, dalla missione di Gesù alla missione dei discepoli, dalla predicazione e dall’azione di Gesù alla predicazione e all’azione dei credenti nella storia. Opera il passaggio da Cristo alla Chiesa. Grazie allo Spirito il credente comprende e ricorda la parola di Gesù e grazie allo Spirito la annuncia, vi risponde con la preghiera e vi obbedisce con la testimonianza. Così l’evento pentecostale ci dice chi è il credente. Compimento del mistero pasquale, la Pentecoste è anche compimento della vocazione cristiana, del discepolato. Infatti, lo Spirito insegnerà e farà ricordare, come un maestro al discepolo, e il fine di tale insegnamento è che il Cristo sia nel discepolo, ne divenga presenza interiore e intima. Non esteriore, estrinseca, funzionale. Il compimento della vocazione cristiana è che la vita di Cristo viva in noi. E la vocazione, o, se si vuole, l’essenziale della vita cristiana sotto la guida dello Spirito, è la vita interiore come capacità di far abitare in sé la parola del Signore, meditarla, comprenderla, interpretarla. La parola poi, vivificata dallo Spirito, diviene magistero interiore del credente: “Lo Spirito vi insegnerà tutto e vi ricorderà tutto ciò che io ho detto” (Gv 14,26). La congiunzione “e” è esplicativa: l’insegnamento dello Spirito consisterà nel ravvivare presso i discepoli il ricordo delle parole di Gesù. Accanto alla vita interiore c’è poi la preghiera che risponde a tale parola e che diviene non solo un invocare Dio come Abbà, “Padre”, ma un vivere da “figli di Dio”. “Quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio sono figli di Dio” (Rm 8,14), “per mezzo dello Spirito noi gridiamo Abbà, Padre” (Rm 8,15). Questo vivere da figli di Dio richiede la capacità della lotta interiore, ovvero la capacità di rompere con la carne, cioè con l’egoismo e l’autoreferenzialità. Infine c’è la testimonianza, l’annuncio, la capacità di rendere eloquente per tutti gli uomini il messaggio evangelico. Ciò che avviene quando i discepoli parlano la lingua dello Spirito (At 2,1-12). Vediamo così che la festa della Pentecoste ci introduce all’arte della vita secondo lo Spirito santo, ci introduce ai movimenti fondamentali della vita spirituale: l’ascolto della parola, la preghiera, la lotta spirituale, l’annuncio e la testimonianza. …

29 Maggio 2022 – Ascensione del Signore – Solennità

L’Ascensione del Signore nell’innografia di Romano il Melode >>>


Omelia di don Mario Testa ore 11.00 >>>

Vangelo

Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 24,46-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: L’ultimo gesto di Gesù è benedire >>>

Con l’ascensione di Gesù, con il suo corpo assente, sottratto agli sguardi e al nostro avido toccare, inizia la nostalgia del cielo. Aveva preso carne nel grembo di una donna, svelando il profondo desiderio di Dio di essere uomo fra gli uomini e ora, salendo al cielo, porta con sé il nostro desiderio di essere Dio.
L’ascensione al cielo non è una vittoria sulle leggi della forza di gravità. Gesù non è andato lontano o in alto o in qualche angolo remoto del cosmo. È “asceso”’ nel profondo degli esseri, “disceso” nell’intimo del creato e delle creature, e da dentro preme come forza ascensionale verso più luminosa vita. A questa navigazione del cuore Gesù chiama i suoi. A spostare il cuore, non il corpo. …


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Il compimento nel distacco >>>

Noi celebriamo la festa dell’Ascensione, che in verità è parte costitutiva dell’atto unico e indivisibile che è l’evento pasquale. Mentre celebriamo l’Ascensione, del resto, il testo evangelico stesso della liturgia odierna ci rinvia alla morte e resurrezione di Gesù e all’attesa della sua venuta. Il vangelo ci riporta al primo giorno dopo il sabato quando i discepoli sono ancora increduli, sotto lo shock della perdita del loro Signore e nell’angoscia del vuoto da lui lasciato. Nel vangelo viene dunque fondata la fede nella resurrezione (“Così sta scritto: ‘Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno’”: v. 46), viene annunciata la missione dei discepoli nella storia (“nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e la remissione dei peccati”: v. 47) e infine i discepoli sono situati dal Risorto nell’attesa del dono dello Spirito santo (“io mando su di voi ciò che il Padre mio ha promesso”: v. 49).

Ora, il paradosso è che il compimento della promessa celebrato nell’Ascensione passa attraverso un vuoto, o meglio, un distacco. Non un pieno, ma una mancanza. Il compimento? Una mancanza. Un distacco. Non una presenza, ma un’assenza. Il compimento? Non una relazione constatabile, visibile e tangibile, ma una distanza. E su questo dobbiamo riflettere anche per la nostra vita spirituale.


 

22 Maggio 2022 – VI DOMENICA DI PASQUA

 

Vangelo

Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14,23-29

In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Così la vita fiorirà in tutte le sue forme >>>

Se uno mi ama osserverà la mia parola. Amare nel Vangelo non è l’emozione che intenerisce, la passione che divora, lo slancio che fa sconfinare. Amare si traduce sempre con un verbo: dare, «non c’è amore più grande che dare la propria vita» (Gv 15,13). Si tratta di dare tempo e cuore a Dio e fargli spazio. Allora potrai osservare la sua Parola, potrai conservarla con cura, così che non vada perduta una sola sillaba, come un innamorato con le parole dell’amata; potrai seguirla con la fiducia di un bambino verso la madre o il padre. Osserverà la mia parola, e noi abbiamo capito male: osserverà i miei comandamenti. E invece no, la Parola è molto di più di un comando o una legge: guarisce, illumina, dona ali, conforta, salva, crea. La Parola semina di vita i campi della vita, incalza, sa di pane, soffia forte nelle vele del tuo veliero. La Parola culmine di Gesù è tu amerai. Custodirai, seguirai l’amore. Che è la casa di Dio, il cielo dove abita, ecco perché verremo e prenderemo dimora in lui. Se uno ama, genera Vangelo. Se ami, anche tu, come Maria, diventi madre di Cristo, gli dai carne e storia, tu «porti Dio in te» (san Basilio Magno)…..


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Lo Spirito promesso >>>

Nell’itinerario che nel tempo pasquale conduce alla celebrazione della Pentecoste, dunque del dono dello Spirito, la VI domenica di Pasqua ha al suo centro la promessa dello Spirito santo. Dire “promessa dello Spirito santo” è quasi una tautologia perché nome dello Spirito è, secondo Lc 24,49, “la promessa del Padre mio”. Anche Ef 1,13 associa promessa e Spirito santo parlando dello “Spirito santo della promessa”, cioè dello Spirito santo che è stato promesso. Il parlare di Dio, in estrema sintesi, è parola di promessa, e la promessa è promessa dello Spirito. Come la parola cerca comunione e tende all’alleanza, così lo Spirito. Nell’esperienza di fede lo Spirito è e resta promessa, realtà posta davanti a noi (pro-mittere), mai posseduta, ma sempre attesa, invocata, ricercata, desiderata. Realtà che ci può guidare, animare, ispirare, ma che mai e poi mai può coincidere con noi o essere da noi esaurita. Realtà che può essere sperimentata, che può perfino rendersi visibile nella persona umana grazie ai frutti che essa suscita, frutti di gioia, di carità, di giustizia, di pace, ma che non sarà mai posseduta una volta per sempre….

15 Maggio 2022 – V DOMENICA DI PASQUA

Omelia don Mario Testa – 14 Maggio ore 18.00 >>>

Omelia don Mario Testa – 15 Maggio ore 11.00 >>>

Vangelo

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 13,31-33a.34-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

 


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: L’amore di Cristo fa sbocciare la speranza >>>

Se cerchiamo la firma inconfondibile di Gesù, il suo marchio esclusivo, lo troviamo in queste parole. Pochi versetti, registrati durante l’ultima cena, quando per l’unica volta nel vangelo, Gesù dice ai suoi discepoli: «Figlioli», usa una parola speciale, affettuosa, carica di tenerezza: figliolini, bambini miei. …
«Vi do un comandamento nuovo: come io ho amato voi così amatevi anche voi gli uni gli altri». Parole infinite, in cui ci addentriamo come in punta di cuore, trattenendo il fiato.
Amare. Ma che cosa vuol dire amare, come si fa?
Dietro alle nostre balbuzie amorose c’è la perdita di contatto con lui, con Gesù. Ci aiuta il vangelo di oggi. La Bibbia è una biblioteca sull’arte di amare. E qui siamo forse al capitolo centrale. E infatti ecco Gesù aggiungere: amatevi come io ho amato voi. …

L’amore ha un come, prima che un ciò, un oggetto. La novità è qui, non nel verbo, ma nell’avverbio. Gesù non dice semplicemente «amate». Non basta amare, potrebbe essere solo una forma di dipendenza dall’altro, o paura dell’abbandono, un amore che utilizza il partner, oppure fatto solo di sacrifici. Esistono anche amori violenti e disperati. Amori tristi e perfino distruttivi.
Come io ho amato voi. Gesù usa i verbi al passato: guardate a quello che ho fatto, non parla al futuro, non della croce che pure già si staglia, parla di cronaca vissuta. Appena vissuta. Siamo nella cornice dell’Ultima Cena, quando Gesù, nella sua creatività, inventa gesti mai visti: il Maestro che lava i piedi nel gesto dello schiavo o della donna. Offre il pane anche a Giuda, che lo ha preso ed è uscito. E sprofonda nella notte. Dio è amore che si offre anche al traditore, e fino all’ultimo lo chiama amico. Non è amore sentimentale quello di Gesù, lui è il racconto inedito della tenerezza del Padre; ama con i fatti, con le sue mani, concretamente: lo fa per primo, in perdita, senza contare.


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Così anche voi >>>

…. Espresso in forma di comando (”Amatevi”), l’amore che Gesù chiede di praticare ai suoi discepoli, ha forma pasquale, chiede un’uscita da sé da parte del discepolo per accogliere in sé la forma di Cristo, e “forma e figura di Cristo in noi è l’amore” (Cirillo di Alessandria). Vivere l’amore come Gesù l’ha vissuto significa partecipare alle energie del Risorto, passare dalla morte alla vita, significa confessare nelle relazioni quotidiane la fede pasquale. Come l’amore vissuto da Gesù è la forza intima della resurrezione, così Gesù indica ai discepoli la via dell’amore come via per fare della resurrezione una prassi, per vivere cioè la novità cristiana narrando esistenzialmente nel quotidiano che la morte non ha l’ultima parola….


Vi dò un comando nuovo: che vi amiate gli uni gli altri
come io amai voi
Per andare dove va Gesù non c’è altra via che quella del suo
comando: amarci con lo stesso amore con il quale lui ci ama.
Pietro seguirà Gesù quando, dopo averlo rinnegato, scoprirà
come lui lo ama: lo ama come ama Giuda, di amore assoluto e
incondizionato. Se accoglie questo amore del Figlio per sé,
potrà con esso amare i fratelli come lui stesso è amato.

Gv 13,33-38  

 

 

8 Maggio 2022 – IV DOMENICA DI PASQUA – B.V. VERGINE DEL SANTO ROSARIO DI POMPEI

Omelia don Mario Testa – 8 Maggio ore 19.00 >>>

Vangelo

Alle mie pecore io do la vita eterna.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Le parole di Gesù: voce soave e mano forte >>>

Perché le pecore ascoltano? Non per costrizione, ma perché la voce è bellissima e ospita il futuro. Io do loro la vita eterna!(v.28). La vita è data, senza condizioni, senza paletti e confini, prima ancora della mia risposta; è data come un seme potente, seme di fuoco nella mia terra nera. Linfa che giorno e notte risale il labirinto infinito delle mie gemme, per la fioritura dell’essere.
Due generi di persone si disputano il nostro ascolto: i seduttori e i maestri. I seduttori, sono quelli che promettono vita facile, piaceri facili; i maestri veri sono quelli che donano ali e fecondità alla tua vita, orizzonti e un grembo ospitale. …


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Pecore che ascoltano >>>

L’accento della IV domenica di Pasqua cade sempre su Gesù come pastore. Il Gesù che ha guidato i suoi discepoli durante la sua vita itinerante e di annuncio del Regno di Dio, ha formato una comunità, ha fatto di alcune persone eterogenee, in buona parte modeste, a volte litigiose, a volte gelose, spesso poco intelligenti, una comunità. Di queste pecore riottose e malate, alcune deboli, altre forti e prepotenti, ha fatto il piccolo gregge, capace di essere un segno del Regno di Dio nella storia. E al di là di tutti i miracoli narrati dai vangeli, questo è il miracolo veramente grande, la sconcertante impresa che Gesù ha portato a termine, certo, pagandone un alto prezzo. L’annuncio di Gesù quale pastore è espresso, in questa domenica, mediante alcuni versetti tratti da quel capitolo decimo del IV vangelo al cui cuore vi è appunto la rivelazione di Gesù “buon pastore”, il pastore per eccellenza. Quale autentico pastore, Gesù svela anche quali siano le autentiche sue pecore: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10,27). Ascoltare e seguire sono dunque elementi che danno contenuto a quel “credere” che è legame decisivo e autentificante dell’uomo con il suo Signore. Non a caso Gesù si è appena rivolto ai suoi avversari dicendo loro: “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore” (Gv 10,26).


Io e il Padre siamo uno
L’uomo Gesù è Cristo e Figlio di Dio: libera la nostra libertà
rivelando che Dio è Padre amante e noi figli amati. Sarà ucciso
perché si proclama Figlio. Ma proprio in quanto ucciso,
offrendo la vita per noi, si rivela Dio e ci salva. Il cristianesimo è
una bestemmia per tutte le religioni: Dio ama l’uomo, si fa
simile a lui e dona la propria vita a lui che gliela toglie. Alla
legge giusta, che condanna i malvagi, subentra l’amore che li
salva tutti

Gv 10,22-42   


 

1 Maggio 2022 – III DOMENICA DI PASQUA – SOLENNITA’ DI SAN GIUSEPPE LAVORATORE, Patrono della nostra parrocchia

Omelia di don Mario Testa – Sabato 30 Aprile ore 18.00 >>>

Vangelo

Viene Gesù, prende il pane e lo dà loro,così pure il pesce.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 21,1-19

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Sorpresi da Gesù: «Mi ami più di tutti?» >>>

Un’alba sul lago di Galilea. Quante albe nei racconti pasquali! Ma tutta «la nostra vita è un albeggiare continuo (Maria Zambrano), un progressivo sorgere della luce. Pietro e gli altri sei compagni si sono arresi, sono tornati indietro, alla vita di prima. Chiusa la parentesi di quei tre anni di strade, di vento, di sole, di parole come pane e come luce, di itineranza libera e felice, conclusa nel modo più drammatico. E i sette, ammainata la bandiera dei sogni, sono tornati alla legge del quotidiano. «Ma in quella notte non presero nulla». Notte senza stelle, notte amara, in cui in ogni riflesso d’onda pare loro di veder naufragare un sogno, un volto, una vita. In quell’albeggiare sul lago il miracolo non sta nel ripetersi di un’altra pesca straordinaria, sta in Pietro che si butta in acqua vestito, che nuota più forte che può, nell’ansia di un abbraccio, con il cuore che punta diritto verso quel piccolo fuoco sulla riva. Dove Gesù, come una madre, ha preparato una grigliata di pesce per i suoi amici. Poteva sedersi, aspettare il loro arrivo, starsene ad osservare, arrivare dopo, invece no, non trattiene la cura, non frena le attenzioni per loro: fuoco, braci, pesce, il tempo, le mani, il cibo. Si preoccupa di accoglierli bene, stanchi come sono, con qualcosa di buono….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: L’amore discerne l’amore >>>

…Il vangelo si apre presentando il disfacimento di un corpo comunitario. E che caratteristiche presenta questa disgregazione? Anzitutto la rapidità. Basta pochissimo tempo perché i discepoli che si riunivano insieme almeno ogni primo giorno della settimana, si sfaldino e smarriscano la loro dimensione di comunità. Inoltre, diversi discepoli non ci sono più. Sembra che alcuni siano scomparsi, se ne siano andati. Ne vengono nominati solo sette. Il gruppo non ha saputo custodire la propria integrità: spinte personali e soggettive sono state più forti del richiamo comunitario. Il tempo senza Gesù ha ben presto mostrato la labilità di alcuni discepoli, la precarietà di alcuni che pure per diverso tempo avevano vissuto con Gesù. Non avevano acquisito sufficiente maturità umana e spirituale? Non avevano sviluppato sufficiente autonomia? Restavano nel gruppo attratti personalmente da Gesù e basta? Per motivi affettivi? Non lo sappiamo. Quel che emerge è anche la vanificazione del passato vissuto con Gesù. E anche dei primi tempi passati dopo la sua resurrezione. L’esperienza di fede sembra rivelarsi qui estremamente fragile: che ne è del vissuto con Gesù, dell’ascolto della sua parola, dell’aver visto i suoi segni su persone malate, che ne è, soprattutto, dell’amore vissuto insieme? Se di amore si trattava. È quasi come se quel vissuto non abbia avuto la forza di dar forma e consolidare un futuro da viversi insieme pur senza il pastore, Gesù. Esplodono forse le contraddizioni e i conflitti tenuti a bada fino a quel momento dalla presenza di Gesù? Non possiamo dire. Di certo, sembra emergere un’altra dimensione: la dimenticanza, l’oblio. Hanno forse dimenticato tutto? Pietro ha dimenticato che Gesù gli ha cambiato il nome di Simone in Cefa (1,42)? Hanno dimenticato la preghiera per loro e i discorsi rivolti loro da Gesù prima del suo addio? Ciò che non si ricorda è come se non fosse mai stato. Ancora si cercano rassicurazioni. Lo sfaldamento della comunità è anche dovuto al fatto che ci si rifugia in ciò che si conosce per timore di intraprendere ciò che appare nuovo e incerto. Le rassicurazioni emergono nel rifugiarsi nel passato particolare di ciascuno, nell’emergere con prepotenza di ciò che è peculiare a ciascuno. Anche nelle vite di questi discepoli che pure sono rimasti riemerge con prepotenza il loro passato lontano, quello da cui si erano staccati un tempo per seguire Gesù e intraprendere la vita itinerante con lui. Pietro ritorna al mestiere di un tempo: “Simon Pietro disse: Io vado a pescare”. E gli altri si accodano….


Mi ami?
Il capitolo 21, analogamente agli Atti degli apostoli, ci presenta
in sintesi la storia della chiesa: essa continua a fare e a dire ciò
che Gesù ha “principiato a fare e insegnare” (At 1,1). La
missione del Figlio diventa la nostra: pescare i fratelli dalla
morte. L’aspetto istituzionale della chiesa, rappresentato da
Pietro, è fondato sull’amore e sul perdono accettato e
accordato. L’aspetto carismatico, rappresentato dal discepolo
amato, è anima e misura di ogni istituzione: è l’amore, che vive
in eterno. Tutto il resto è “funzionale”: da accettare o rifiutare
secondo che giova o meno ad amare. La chiesa ha come
principio e fine la libertà di amare.

24 Aprile 2022 – II DOMENICA DI PASQUA o della Divina Misericordia

Vangelo

Otto giorni dopo venne Gesù.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.