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Domenica 5 Settembre 2021- XXIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Vangelo

Fa udire i sordi e fa parlare i muti.  Mc 7,31-37

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: «Effatà»: quando apri la tua porta la vita viene >>>

…. Portarono a Gesù un sordomuto. Un uomo prigioniero del silenzio, una vita senza parole e senza musica, ma che non ha fatto naufragio, perché accolta dentro un cerchio di amici che si prendono cura di lui: e lo condussero da Gesù. La guarigione inizia quando qualcuno mette mano all’umanissima arte dell’accompagnamento. .….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Ascoltare per comunicare >>>

… Ed ecco che viene condotto a lui un “sordomuto”, o meglio, un uomo “sordo” e “balbuziente”, “che parla con difficoltà”. Troviamo qui lo stesso verbo che nel greco dei Settanta (che traduce un termine ebraico che indica i muti) designa i balbuzienti in Is 35,6: “la lingua dei balbuzienti griderà di gioia”. In effetti, a guarigione avvenuta, si dirà di quest’uomo non tanto che aveva ritrovato la parola, ma che “parlava correttamente” (Mc 7,35). Incapace di ascoltare, egli non sa neppure esprimersi correttamente e perde la capacità comunicativa trovandosi in un isolamento doloroso. È l’incapacità di comunicare che affligge quest’uomo privandolo della sua soggettività: egli è totalmente passivo. Condotto da altri a Gesù, è oggetto di gesti e parole da parte di Gesù finché viene liberato dai vincoli che lo imprigionavano impedendogli di comunicare. Ed è significativo che, per guarire dalla sua incapacità comunicativa e ritrovare la sua soggettività, egli debba essere separato dalla folla e portato in disparte: lì può essere restituito a se stesso e diventare soggetto della sua parola. Lì avviene l’incontro personale con Cristo……


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Effathà, cioè: Apriti!
Se siamo sordi, non riusciamo a parlare: se siamo sordi
all’amore che il Figlio ci ha mostrato, non riusciamo a
comunicare correttamente con i fratelli. È lento e faticoso il
cammino di guarigione dalle chiusure che ci rendono insensibili
all’amore.?

Domenica 29 Agosto 2021- XXII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

Vangelo

Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 7,1-8.14-15.21-23

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate
la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Il segreto per avere più amore e più libertà >>>

…. è dal cuore degli uomini che escono le intenzioni cattive… È la grande svolta: il ritorno al cuore. Passando da una religione delle pratiche esteriori a una religione dell’interiorità, perché l’io esiste raccogliendosi non disperdendosi, e perché quando ti raccogli fai la scoperta che Dio è vicino: «Fuori di me ti cercavo e tu eri dentro di me» (sant’Agostino). .….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Il criterio dell’agape >>>

… Una seconda avvertenza preliminare è opportuna prima di leggere il nostro testo. Mc 7,1-13 presenta una discussione di Gesù con i farisei e gli scribi, dunque con rappresentanti religiosi del giudaismo dell’epoca. La specificazione che gli scribi erano “venuti da Gerusalemme” (Mc 7,1; cf. Mc 3,22), sottolinea il carattere ufficiale e autorevole di una delegazione inviata dal Sinedrio. Il testo presenta una discussione in cui Gesù entra in aperto conflitto con scribi e farisei arrivando anche ad apostrofarli come “ipocriti” (Mc 7,6). Di fronte a tutto questo, è importante non fare di questo brano evangelico l’occasione di predicazioni oannotazioni antigiudaiche o anche solo di commenti caricaturali che presentino un giudaismo legalista, esteriore e formale, a differenza di un cristianesimo spirituale e interiore. Già il testo di Marco si esprime con una certa approssimazione (si pensi alla generalizzazione “tutti i giudei” del v. 3: in realtà la prassi di lavarsi le mani prima di mangiare, all’epoca di Gesù, era solo di una parte e probabilmente minoritaria di gruppi farisaici che estendevano al quotidiano le norme di purificazione sacerdotale), e comunque, da un lato, la tradizione cristiana ha conosciuto essa stessa fenomeni analoghi a quelli qui denunciati e, dall’altro, importante è cogliere queste parole come rivolte a noi oggi e trovarne un’ermeneutica adeguata. Non ci si dimentichi mai che Gesù è ebreo e lo è per sempre..…


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Il loro cuore è lontano da me
Ciò che ci impedisce di “mangiare il Pane” e di vivere
l’eucaristia nella vita quotidiana è osservare le leggi, ma senza
amare. Il nostro cuore indurito, schiavo dell’egoismo, può
anche fare belle liturgie, senza però vivere ciò che celebra.
La mia legge è quella dell’eucaristia: amare i fratelli come Gesù
ci ama?
Penso più a criticare gli altri o a purificare il mio cuore dal
male?

Domenica 22 Agosto 2021- XXI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Beata Maria Vergine Regina, memoria

Vangelo

Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,60-69

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Dio, non c’è nessun altro a cui affidare la nostra vita>>>

…. Giovanni mette in scena il resoconto di una crisi drammatica. Dopo il lungo discorso nella sinagoga di Cafarnao sulla sua carne come cibo, Gesù vede profilarsi l’ombra del fallimento: molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. E lo motivano chiaramente: questa parola è dura. Chi può ascoltarla? Dura era stata anche per il giovane ricco: vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri. Dure le parole sulla montagna: beati i perseguitati, beati quelli che piangono. Ma ciò che Gesù ora propone non è una nuova morale, più ardua che mai, ma una visione ancora più rivoluzionaria, una fede ancor più sovversiva: io sono il pane di Dio; io trasmetto la vita di Dio; la mia carne dà la vita al mondo. Nessuno aveva mai detto “io” con questa pretesa assoluta. Nessuno aveva mai parlato di Dio così: un Dio che non versa sangue, versa il suo sangue; un Dio che va a morire d’amore, che si fa piccolo come un pezzo di pane, si fa cibo per l’uomo. Finita la religione delle pratiche esterne, dei riti, degli obblighi, questa è la religione dell’essere una cosa sola con Dio: io in Lui, Lui in me. La svolta del racconto avviene attorno alle parole spiazzanti di Gesù: volete andarvene anche voi? Il maestro non tenta di fermarli, di convincerli, non li prega: aspettate un momento, restate, vi spiego meglio. C’è tristezza nelle sue parole, ma anche fierezza e sfida, e soprattutto un appello alla libertà di ciascuno: siete liberi, andate o restate, ma scegliete! .….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: All’altezza della libertà >>>

… La reazione dei discepoli alle parole di Gesù si esprime come mormorazione (Gv 6,61). E così essi si trovano nella stessa posizione spirituale dei “Giudei” che avevano contestato Gesù mormorando contro di lui (Gv 6,41.43). Ora, poiché il termine “Giudei” in Giovanni designa solitamente chi si oppone a Gesù, i suoi avversari, il testo qui indica che anche i discepoli possono divenire avversari di Gesù, opporsi, coscientemente o meno, alla sua missione, e uscire dallo spazio dell’adesione e della fede. Gesù dunque rileva lo scandalo subito dai suoi discepoli (Gv 6,61) e pone provocatoriamente una domanda: se vi scandalizza l’annuncio del Cristo che è il pane disceso dal cielo, che cosa vi avverrà se doveste vedere il Figlio dell’uomo salire là dove era prima? La domanda sembra suggerire: il vostro scandalo aumenterebbe o si placherebbe? La risposta è implicita nelle parole che Gesù pronuncia subito dopo: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla” (Gv 6,63). E lo Spirito sarà il dono che il Figlio dell’uomo disceso dal cielo e innalzato da terra, salito al cielo, ritornato al Padre, darà. Non la carne, ma lo Spirito consente di superare lo scandalo. Si ripropone con i discepoli la problematica che Gesù ha affrontato con Nicodemo quando gli ha detto: “Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo” (Gv 3,12-13). E l’accoglienza del dono di Dio inizia già ora con l’operazione spirituale basilare ed essenziale che è l’ascolto delle parole di Gesù. Infatti, dice Gesù: “Le parole che io vi ho detto sono spirito e vita” (Gv 6,63). Questo passo costituisce l’unica volta in cui Giovanni identifica la parola di Gesù con lo Spirito.…


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Questo vi scandalizza?
Lo scandalo della croce è giudizio e salvezza del mondo: ne
svela la menzogna e lo salva, rivelandogli un Dio che ama sino a
dare la sua vita per chi lo uccide. Pure noi, anche se chiamati a
vivere del pane che riceviamo nell’eucaristia, subiamo
scandalo: siamo sempre esposti a tradimento, rinnegamento e
fuga, come Giuda, Pietro e gli altri

Domenica 15 Agosto 2021- ASSUNZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA – Solennità

Vangelo

Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente: ha innalzato gli umili.
Lc 1,39-56

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Magnificat, una finestra aperta sul futuro >>>

Luca ci offre, in questa festa dell’Assunzione di Maria, l’unica pagina evangelica in cui protagoniste sono le donne. Due madri, entrambe incinte in modo «impossibile», sono le prime profetesse del Nuovo Testamento. Sole, nessun’altra presenza, se non quella del mistero di Dio pulsante nel grembo. Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! Elisabetta ci insegna la prima parola di ogni dialogo vero: a chi ci sta vicino, a chi condivide strada e casa, a chi mi porta luce, a chi mi porta un abbraccio, ripeto la sua prima parola: che tu sia benedetto; tu sei benedizione scesa sulla mia vita!. Elisabetta ha introdotto la melodia, ha iniziato a battere il ritmo dell’anima, e Maria è diventata musica e danza, il suo corpo è un salmo: L’anima mia magnifica il Signore!. Da dove nasce il canto di Maria? Ha sentito Dio entrare nella storia, venire come vita nel grembo, intervenire non con le gesta spettacolari di comandanti o eroi, ma attraverso il miracolo umile e strepitoso della vita: una ragazza che dice sì, un’anziana che rifiorisce, un bimbo di sei mesi che danza di gioia all’abbraccio delle madri. Viene attraverso il miracolo di tutti quelli che salvano vite, in terra e in mare.….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Uno sguardo che chiama a sé >>>

… Nel suo viaggio verso Elisabetta, Maria porta il Cristo e, insieme con lui, porta lo Spirito. Luca suggerisce, nel denso incontro delle due donne incinte, il senso di ogni incontro tra cristiani: il rinnovarsi della pentecoste, della discesa dello Spirito, un evento di grazia in cui ciascuno riconosce l’altro nel mistero della sua vocazione e del dono ricevuto da Dio. Un abbraccio che accoglie e dona, riconosce e comunica, senza gelosie e rivalità. La maternità di Maria, di cui la giovane donna di Nazaret ha appena ricevuto l’annuncio (cf. Lc 1,26-38), si declina subito, in lei che si reca da Elisabetta, come sororità. La sterile e la vergine si abbracciano nello stupore del Dio che può operare ciò che è impossibile alla creatura umana. L’incontro diviene eucaristia. L’iconografia che mostra l’abbraccio delle due donne, presenta a volte un accostarsi dei volti tale che l’incontro occhio contro occhio diventa fusione in un unico occhio. Unico è lo sguardo con cui le due si vedono e a cui partecipano: lo sguardo di Dio che ha visto la condizione di sterilità dell’una e di piccolezza dell’altra. …


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Beata colei che ha creduto.
Maria, subito dopo aver detto “sì” a Dio, si mette al servizio al prossimo.
L’incontro tra le due cugine, che portano in grembo l’ultimo dei profeti e il Figlio di
Dio, rappresenta l’incontro tra Antico e Nuovo Testamento.

8 Agosto 2021, XIX Domenica del T.O.

Omelia don Mario Testa >>>

Vangelo

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.
Gv 6,41-51

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».
Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Così Gesù è pane di vita e forza d’attrazione >>>

…. Gesù ha in sé un portato che è oltre. Qualcosa che vale per tutta la realtà: c’è una parte di cielo che compone la terra; un oltre che abita le cose; il nostro segreto non è in noi, è oltre noi. Come il pane, che ha in sé la polvere del suolo e l’oro del sole, le mani del seminatore e quelle del mietitore; ha patito il duro della macina e del fuoco; è germogliato chiamato dalla spiga futura; si è nutrito di luce e ora può nutrire. Come il pane, Gesù è figlio della terra e figlio del cielo. E aggiunge una frase bellissima: nessuno può venire a me se non lo attira il Padre che mi ha mandato. Ecco una nuova immagine di Dio: non il giudice, ma la forza di attrazione del cosmo, la forza di gravità celeste, la forza di coesione degli atomi e dei pianeti, la forza di ogni comunione. Dentro ciascuno di noi è al lavoro una forza instancabile di attrazione divina, che chiama ad abbracciare bellezza e tenerezza. E non diventeremo mai veri, mai noi stessi, mai contenti, se non ci incamminiamo sulle strade dell’incanto per tutto ciò che chiama all’abbraccio. ….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Donare abbassandosi >>>

… Se Dio è all’origine e al termine della missione di Gesù, è anche all’origine della fede del credente: “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre” (Gv 6,44). Questa attrazione è specificata come ascolto e insegnamento ricevuto (cf. Gv 6,45), termini che rinviano alla Scrittura, “cattedra” da cui il Padre fa sentire la sua voce e rivolge agli uomini tutti (Gv 6,45; 12,32) l’invito a credere in colui che egli ha mandato. Grazie all’ascolto della parola di Dio contenuta nella Scrittura il credente diverrà un teodidatta. Ma il riferimento non è solo alla Scrittura. La cattedra, in questo caso, è anche il Maestro. Ovvero, la Parola fatta carne in Gesù di Nazaret dice che ormai la parola e la vita di Gesù ammaestrano l’uomo e sono fonte di ammaestramento e di insegnamento. E di un insegnamento che viene da Dio. Colui che dice “Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre” (Gv 6,44) è lo stesso che dice: “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). Siamo al cuore del paradosso della fede cristiana come lo esprime il IV vangelo: nessuno può venire al Figlio e aderire a Lui senza aver ricevuto l’insegnamento del Padre; ma nessuno può imparare dal Padre se non attraverso il Figlio e l’ascolto del Figlio. L’azione dello Spirito santo, del Paraclito, scioglie il paradosso, lui che, inviato dal Padre, insegna e ricorda tutto ciò che Gesù ha detto, ma le parole che Gesù insegna non sono sue, ma del Padre che lo ha mandato (cf. Gv 14,24).


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Il pane che io vi darò è la mia carne per la vita del mondo

La carne e il sangue di Gesù, il suo corpo totalmente donato ai
fratelli, rende visibile quel Dio che è tutto amore e dono di sé :
in lui si celebra l’alleanza nuova e definitiva tra cielo e terra. La
Parola ci presenta questo corpo. Mangiarlo significa conoscerlo
per assimilarlo e diventare come lui, capaci di amare come
siamo amati.

1 Agosto 2021, XVIII Domenica del T.O.

Vangelo

Chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,24-35

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: L’opera del Signore è nutrire la vita >>>

…. Gesù ha appena compiuto il “segno” al quale tiene di più, il pane condiviso, ed è poi quello più frainteso, il meno capito. La gente infatti lo cerca, lo raggiunge e vorrebbe accaparrarselo come garanzia contro ogni fame futura. Ma il Vangelo di Gesù non fornisce pane, bensì lievito mite e possente al cuore della storia, per farla scorrere verso l’alto, verso la vita indistruttibile. Davanti a loro Gesù annuncia la sua pretesa, assoluta: come ho saziato per un giorno la vostra fame, così posso colmare le profondità della vostra vita! E loro non ce la fanno a seguirlo. Come loro anch’io, che sono creatura di terra, preferisco il pane, mi fa vivere, lo sento in bocca, lo gusto, lo inghiotto, è così concreto e immediato. Dio e l’eternità restano idee sfuggenti, vaghe, poco più che un fumo di parole. ….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: L’opera della fede >>>

… Richiesti di operare per il cibo che non perisce, gli interlocutori di Gesù gli chiedono che cosa debbano fare per compiere “le opere di Dio” (cf. Gv 6,28). Appunto: che fare per operare per il cibo che rimane? Che fare per compiere ciò che piace a Dio? Rispondendo, Gesù non rinvia a “opere buone”, non chiede di compiere le opere del digiuno, dell’elemosina e della preghiera. La risposta di Gesù spiazza la domanda attuando il passaggio dalle molte opere all’unica opera, e addirittura identificando l’unica opera con la fede: l’opera è la fede! La diatriba tra fede e opere è superata da Giovanni con l’affermazione che la fede è l’opera essenziale e necessaria. L’opera che dà senso, orientamento e sacramentalità alle opere. L’opera di Dio, cioè che consente a Dio di operare nell’uomo, è la fede, “credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Ovvero, in quel Figlio dell’uomo su cui si è posato lo Spirito santo (Gv 1,33), che dice le parole di Dio e dona lo Spirito senza misura (Gv 3,34) e proprio così nutre la fame profonda dell’uomo. La risposta di Gesù spiazza anche le dicotomie e le sterili contrapposizioni che spesso affliggono i cristiani: tra fede e opere, tra dimensione verticale e dimensione orizzontale, tra contemplazione e azione, tra servizio e preghiera. In verità la fede è l’unica cosa necessaria. Il problema non si situa dunque sul piano del “che fare?”, ma del “chi sono?”: il cristiano è anzitutto un credente. Uno che fa della fede la propria responsabilità, il proprio lavoro, la propria fatica, la propria lotta. In una parola: la propria opera quotidiana. Credere è un lavoro. E la fede è lasciare che Dio operi nell’uomo. …


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Da dove compreremo pane?

Il pane, simbolo di vita, non è da comperare: è dono. Ciò che Gesù fa e dice illustra la sua esistenza di Figlio: “prende” il pane, “rende grazie” al Padre e “distribuisce” ai fratelli. Noi viviamo di questo pane: è l’eucaristia, il corpo del Figlio che ci assimila a lui e sazia il nostro desiderio di essere come Dio. Di questo pane ne avanza sempre un sovrappiù: è da raccogliere, a salvezza nostra e del mondo intero.

25 Luglio 2021, XVII Domenica del T.O.

Vangelo

Distribuì a quelli che erano seduti quanto ne volevano.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,1-15

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Quel pane moltiplicato che chiama alla fraternità >>>

…. Domenica del pane che trabocca dalle mani, dalle ceste, che sembra non finire mai. E mentre lo distribuivano, non veniva a mancare; e mentre passava di mano in mano, restava in ogni mano.
C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci… Un pane d’orzo, il primo cereale che matura; un ragazzo, in cui matura un uomo. Quella primizia d’umanità ha capito tutto, nessuno gli ha chiesto nulla e il ragazzo mette tutto a disposizione. È questa la prima scintilla della risposta alla fame della folla.
Ma che cosa sono cinque pani per 5.000: uno a mille. Il Vangelo sottolinea la sproporzione tra il poco di partenza e la fame innumerevole che assedia. Sproporzione però è anche il nome della speranza, che ha ragioni che la ragione non conosce. E il cristiano non può misurare le sue scelte solo sul ragionevole, sul possibile. Perché dovremmo credere a un Risorto, se siamo legati al possibile? La stessa sproporzione la sentiamo di fronte ai problemi immensi del nostro mondo. Io ho solo cinque pani, e i poveri sono legioni. Eppure Gesù non bada alla quantità, ne basta anche meno, molto meno, una briciola. E la follia della generosità. E infatti, non appena gli riferiscono la poesia e il coraggio di questo ragazzo, sente scattare dentro come una molla: Fateli sedere! Adesso sì che è possibile cominciare ad affrontare la fame! ….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: La fame e il cibo >>>

… Giovanni riferisce lo sguardo di Gesù sulle folle che vengono a lui. Che cosa vede Gesù? Che cosa suscita in Gesù il vedere quelle folle numerose che lo cercano? Gesù si mostra preoccupato di dare loro da mangiare, di nutrirle. E pone una domanda a Filippo, una domanda che ha intento pedagogico, che vuole testare l’intelligenza di fede del discepolo: “Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?” (Gv 6,5). L’iniziativa di sfamare le folle non viene dai discepoli (come nei Sinottici), ma direttamente da Gesù. Non è motivata neppure dalla compassione nei confronti di folle stanche o smarrite o bisognose (come in Mc 6,34; 8,2; Mt 15,32). Il gesto di Gesù è sovranamente gratuito: è un’azione, non una reazione. Nasce solo dal suo sguardo sulla folla in quel tempo prossimo alla Pasqua (cf. Gv 6,4).

E così il gesto appare rivelativo: sia in rapporto al Dio che nella Pasqua compirà il suo amore sovrabbondante per l’uomo donando il suo stesso Figlio per la vita del mondo, sia in rapporto all’uomo e alla sua fame non dovuta a particolari circostanze, ma fondamentale, costitutiva. Questa fame non è una disgrazia, ma la verità umana ordinata alla verità di Dio che la precede e la fonda e che è il desiderio di Dio di consegnarsi all’uomo per aver comunione con lui e perché l’uomo abbia la vita in abbondanza. Potremmo dire che Gesù vede nelle folle una fame che lui solo può saziare. E questa è la fame che lui stesso desta e che porta tanti uomini e tante donne a seguirlo, a desiderare la sua parola, a nutrirsi dei suoi insegnamenti.

Egli è colui che desta la fame e che la sazia: è la fame e il cibo: “Chi viene a me non avrà più fame” (Gv 6,35). Gesù, che a Cana aveva donato il vino migliore (Gv 2,1-12), che alla Samaritana aveva annunciato il dono dell’acqua che estingue la sete in eterno (Gv 4,14), ora dona il pane in abbondanza (Gv 6,12-13). Lui stesso è questo pane, rivelerà Gesù nel discorso nella sinagoga di Cafarnao: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!” (Gv 6,34). E come il vino di Cana (Gv 2,9) e l’acqua della Samaritana (Gv 4,11) sono accompagnati dalla domanda sulla loro origine con l’avverbio pòthen, “da dove?”, così ora Gesù stesso chiede a Filippo “da dove (pòthen) potremo comprare il pane …?” (Gv 6,5). E in Giovanni questo avverbio non indica tanto un luogo quanto la sorgente di ogni dono, l’origine di ogni dono: Dio, il Padre: “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre” (Gc 1,17).  …


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Da dove compreremo pane?

Il pane, simbolo di vita, non è da comperare: è dono. Ciò che Gesù fa e dice illustra la sua esistenza di Figlio: “prende” il pane, “rende grazie” al Padre e “distribuisce” ai fratelli. Noi viviamo di questo pane: è l’eucaristia, il corpo del Figlio che ci assimila a lui e sazia il nostro desiderio di essere come Dio. Di questo pane ne avanza sempre un sovrappiù: è da raccogliere, a salvezza nostra e del mondo intero.

18 Luglio 2021, XVI Domenica del T.O.

Vangelo

Erano come pecore che non hanno pastore.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,30-34

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Finché c’è compassione il mondo può sperare >>>

…. Viviamo oggi in una cultura in cui il reddito che deve crescere e la produttività che deve sempre aumentare ci hanno convinti che sono gli impegni a dare valore alla vita. Gesù ci insegna che la vita vale indipendentemente dai nostri impegni (G. Piccolo).
La gente ha capito, e il flusso inarrestabile delle persone li raggiunge anche in quel luogo appartato. E Gesù anziché dare la priorità al suo programma, la dà alle persone. Il motivo è detto in due parole: prova compassione. Termine di una carica bellissima, infinita, termine che richiama le viscere, e indica un morso, un crampo, uno spasmo dentro. La prima reazione di Gesù: prova dolore per il dolore del mondo. E si mise a insegnare molte cose. Forse, diremmo noi, c’erano problemi più urgenti per la folla: guarire, sfamare, liberare; bisogni più immediati che non mettersi a insegnare. Forse abbiamo dimenticato che c’è una vita profonda in noi che continuiamo a mortificare, ad affamare, a disidratare. ….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Un riposo compassionevole >>>

Marco ci mostra che i discepoli sono accolti e ascoltati da colui che li ha inviati e che si mostra interessato non semplicemente al compimento della missione, ma anzitutto alla loro persona. Gesù, buon pastore che conosce per nome le sue pecore, si mostra più attento ai missionari, infatti, che alla missione e al suo eventuale successo. Nessun funzionalismo in Gesù. E mentre ascolta i racconti degli apostoli, egli sente anche la loro fatica e il loro bisogno di riposo. E li invita ad andare con lui in disparte per riposarsi un po’: “Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’” (Mc 6,31).

Anche qui, Gesù invita i discepoli a fare ciò che lui stesso vive e di cui fa esperienza. Se Gesù parla alle folle e trascorre molte giornate in predicazione, se incontra persone donando loro tempo, ascolto e presenza, se cura molti malati spendendo energie e forze psicofisiche, egli ha pure bisogno di ritiro, di solitudine, di riposo, di starsene in luoghi solitari e deserti (Mc 1,35.45; 6,46;9,2). Ha bisogno di tempi di gratuità, non solo impegnati nello spendersi per gli altri. Alla faticosa missione deve accompagnarsi il necessario riposo. Del resto, il testo evangelico annota che il piccolo gruppo dei discepoli di Gesù era oberato da ritmi troppo intensi. È impressionante notare come – stando almeno a questo testo di Marco (che manca infatti negli altri sinottici) – già i discepoli di Gesù pativano una sorta di tirannia delle attività e del non avere tempo: “Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano più neanche il tempo di mangiare” (Mc 6,31). Gesù, buon pastore, dà ai suoi inviati il diritto e il permesso di riposarsi e dunque consegna loro la responsabilità di darsi tempo, di fermarsi, di abitare il silenzio e la solitudine, di sostare per “essere” e di non alienarsi nel “fare” negligendo i bisogni elementari e basilari della loro vita. Il riposo è tempo di pausa che dona nuova lucidità, che rinnova le motivazioni del vivere e della vocazione. Potremmo dire che è parte esso stesso dell’azione pastorale, così come il riposo e la cessazione dell’attività sono parte costitutiva dell’azione creazionale di Dio (Gen 1,1-2,4a). Si potrebbe aprire qui una riflessione critica sulla evangelicità della forma di certa attività pastorale oggi alienata nel momento attivo-organizzativo. …


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Venite soli in disparte

Alzati gli occhi al cielo, benedisse e spezzò il pane, e li dava

Dopo la missione i Dodici ritornano da Gesù e confrontano con lui quanto hanno fatto e insegnato. Èciò che facciamo nella comunità: uniti tra noi e con lui, ciconfrontiamo con la sua Parola, centro della nostra vita. Così sentiamo il suo invito all’esodo nel deserto, da soli con lui, dove ci darà il suo Pane

11 Luglio 2021, XV Domenica del T.O.

Vangelo

Prese a mandarli.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,7-13

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche.
E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro».
Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Vita senza demoni e un mondo guarito >>>

Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli. Ogni volta che Dio ti chiama, ti mette in viaggio. Il nostro Dio ama gli orizzonti e le brecce. A due a due: perché il due non è semplicemente la somma di uno più uno, è l’inizio del noi, la prima cellula della comunità. Ordinò loro di non prendere nient’altro che un bastone. Solo un bastone a sorreggere la stanchezza e un amico su cui appoggiare il cuore….


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Con i modi del Signore  >>>

… La missione non è frutto dell’iniziativa personale, non è espressione del protagonismo del credente che si inventa avventuriero della fede o che intende “salvare il mondo” con le sue buone ed eroiche intenzioni e disposizioni. Il missionario è un chiamato: quindi dev’essere anzitutto una persona obbediente alla parola del Signore, disposto a rinnovare la propria chiamata giorno per giorno con l’ascolto quotidiano della parola di Dio. La missione dice dunque riferimento fondante a Colui che invia, prima ancora che rapporto con i destinatari dell’annuncio. Solo così la missione potrà essere sacramento della presenza e della venuta del Signore. Altrimenti sarà una mera manifestazione del protagonismo umano che, anche quando si esprime con maniere spirituali o pastorali, è in realtà profondamente mondano. …


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Chiamò innanzi i Dodici e cominciò a inviarli”.

Quando uno accoglie Gesù, il Figlio, fa come lui: testimonia ai fratelli l’amore del Padre. La Parola, che ci fa figli di Dio, è un seme da seminare nel mondo intero: chi l’ha ascoltata, la comunica agli altri. Uno diventa figlio solo quando si sente responsabile dei fratelli.

4 Luglio 2021, XIV Domenica del T.O.

Vangelo

Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.
Mc 6,1-6

In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono.
Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo.
Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando.


Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Così Gesù rifiutato continua ad amarci >>>

«Ma non è il falegname, il fratello di Giacomo, Ioses, Giuda e Simone?» Poche pagine prima questi stessi fratelli sono scesi a Cafarnao per riportarselo a casa, il loro cugino strano, perché dicevano: è andato, è fuori di testa; lo danno per eretico, dobbiamo proteggerlo anche da se stesso.
E adesso a Nazaret, dove si conoscono tutti, dove si sa tutto di tutti (o almeno così si crede), la gente si stupisce di discorsi mai sentiti, di parole che sembrano venire non dalla sacra scrittura, come l’hanno sempre ascoltata in sinagoga, e forse neppure da Dio: da dove mai gli vengono queste cose?
Ed era per loro motivo di scandalo. Che cosa li scandalizza? L’umanità, la familiarità di un Dio che abbandona il tempio ed entra nell’ordinarietà di ogni casa, diventando il “God domestic” (Giuliana di Norwich, sec. XIII), il Dio di casa. Gesù, rabbi senza titoli e con i calli alle mani, si è messo a raccontare Dio con parabole che sanno di casa, di terra, di orto, dove un germoglio, un grano di senape, un fico a primavera diventano personaggi di una rivelazione. Scandalizza l’umiltà di Dio. Non può essere questo il nostro Dio. Dov’è la gloria e lo splendore dell’Altissimo?


Luciano Manicardi, monastero di Bose: Che Gesù conosco?  >>>

… L’antefatto da cui parte tutta l’azione è che Gesù, in giorno di sabato, si mette a insegnare in sinagoga (Mc 6,2). Marco ha già annotato che di sabato Gesù insegna in sinagoga e libera un uomo da uno spirito impuro che lo tormentava (Mc 1,21-28) e sempre di sabato, in sinagoga, compie un gesto di potenza, la guarigione di un uomo dalla mano paralizzata (Mc 3,1-6). E sempre Marco registra le reazioni di stupore meravigliato (Mc 1,27) o di aperta opposizione (Mc 3,6) suscitate da Gesù. Come spesso nel primo vangelo, Marco non specifica il contenuto dell’insegnamento di Gesù ma, in estrema sintesi Gesù, quando insegna, sempre annuncia il Regno di Dio e l’esigenza della conversione (cf. Mc 1,15). E che questo insegnamento sia percepito come particolarmente forte e autorevole da parte dei presenti è espresso dalla loro reazione di stupore: restano colpiti, quelle parole non li lasciano indifferenti e li porterebbero a prendere una posizione a schierarsi. Ma l’esito di quello stupore sembra piuttosto quello di un difendersi dal prendere posizione, dal lasciarsi interpellare e affascinare dal nuovo e dal potente che sentono in Gesù. Pongono domande, ma non sempre le domande sono apertura al nuovo, sono segno di ricerca e di interesse, di quella curiosità che è passione per l’umano. Qui le domande sono una misura di difesa, una protezione. Agiscono come uno scudo. I concittadini di Gesù si ritirano nel loro guscio, si proteggono ritraendosi nel loro carapace. La forza e la sapienza che sentono in Gesù, che è uno di loro, che è nato in mezzo a loro, mette in discussione anche loro. ….


Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html

Si meravigliava della loro non fede

Si meravigliava della loro non fede”.Il Signore si meraviglia di nulla, se non della nostra fede o non fede: è una libera decisione dell’uomo, che può accettare o rifiutare Dio e il suo amore. Dove è accolto, è sorpreso per la gioia e vive; dove è respinto è sorpreso dal dolore e muore lasciando aperto a tutti il suo cuore.