Omelia di don Mario Testa, Santa Messa del 9 Gennaio ore 18.00 >>>
Vangelo
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 2,1-11
In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: A Cana il volto gioioso del Padre >>>
Festa un po’ strana, quella di Cana di Galilea: lo sposo è del tutto marginale, la sposa neppure nominata; protagonisti sono due invitati, e alcuni ragazzi che servono ai tavoli. Il punto che cambia la direzione del racconto è il vino che viene a mancare. Il vino nella Bibbia è il simbolo dell’amore. E il banchetto che è andato in crisi racconta, in metafora, la crisi dell’amore tra Dio e l’umanità, un rapporto che si va esaurendo stancamente, come il vino nelle anfore. Occorre qualcosa di nuovo. Vi erano là sei anfore di pietra… Occorre riempirle d’altro, finirla con la religione dei riti esterni, del lavarsi le mani come se ne venisse lavato il cuore; occorre vino nuovo: passare dalla religione dell’esteriorità a quella dell’interiorità, dell’amore che ti fa fare follie, che fa nascere il canto e la danza, come un vino buono, inatteso, abbondante, che fa il cuore ubriaco di gioia (Salmo 104,15). Il Vangelo chiama questo il “principe dei segni”, il capostipite di tutti: se capiamo Cana, capiamo gran parte del Vangelo. A Cana è il volto nuovo di Dio che appare: un Dio inatteso, colto nelle trame festose di un pranzo nuziale; che al tempio preferisce la casa; che si fa trovare non nel santuario, nel deserto, sul monte, ma a tavola….
Luciano Manicardi, monastero di Bose: Novità nella continuità >>>
Il testo evangelico di questa domenica è l’episodio delle “nozze di Cana” presente nel IV vangelo (Gv 2,1-12). Troviamo in questo testo quella simbolica nuziale che è cifra dell’incontro tra Dio e l’umanità già nel Primo Testamento. In particolare, la celebrazione delle nozze è immagine che allude all’alleanza tra Dio e il suo popolo. Il passo giovanneo può essere letto tenendo come griglia di lettura il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento. In quest’ottica va notato che Giovanni non si accontenta di risolvere questo rapporto con la polarità “promessa-compimento”, ma la arricchisce con la dialettica “continuità-novità”. Per Giovanni è nel corso di nozze già iniziate che Gesù interviene e fornisce il vino buono. Già qui vi è continuità e novità. Di più, il vino buono proviene dall’acqua che era già là (“Vi erano là sei anfore …”: Gv 2,6). Situate al “terzo giorno” (Gv 2,1), le nozze di Cana sono ripresa del passato, in quanto memoria dell’alleanza sinaitica avvenuta “il terzo giorno” (Es 19,10-11.16), e anticipazione del futuro, in quanto profezia della resurrezione che avverrà “il terzo giorno” (1Cor 15,4). Al centro di questa economia del tempo della salvezza si trova “l’ora” di Gesù (Gv 2,4), il momento dell’innalzamento che è anche il culmine della rivelazione della gloria di Dio. Simbolo dei tempi messianici e della rivelazione, il vino che Gesù dona è tratto dall’acqua contenuta nelle giare per la purificazione dei Giudei. Questo vino buono non è senza quell’acqua. La novità che Gesù porta si innesta nella continuità con l’alleanza stretta da Dio con il popolo d’Israele. Scrive Tommaso d’Aquino: “Se Gesù non ha voluto fare del vino partendo dal nulla, ma a partire dall’acqua, è per mostrare che egli non veniva assolutamente per fondare una nuova dottrina e rigettare l’antica, ma per compierla”. Anche il cristiano non possiede quel vino, ma lo può ricevere ogni giorno dalla parola di Gesù che trasforma l’acqua versata nelle giare d’Israele. La compresenza dell’Antico e del Nuovo Testamento nella liturgia della Parola all’interno dell’Eucaristia esprime il fatto che la Parola di Dio emerge dall’incontro e dal dialogo, presieduto e sempre rinnovato dallo Spirito, tra parola veterotestamentaria e parola neotestamentaria, in una dialettica di novità nella continuità. ….
Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html
Attingete adesso!
Il primo segno di Gesù – anzi il “principio” dei suoi segni –
sorprende e spiazza ogni persona religiosa. L’acqua che diventa
vino dice il senso stesso del vangelo: Dio non dimora nel
tempio o nella legge, ma nella gioia dell’amore. Adesso
possiamo attingere con pienezza alle fonti della vita: possiamo
amare il Signore, perché lui è lo Sposo che ci ama di un amore
più forte della morte. La madre di Gesù appare solo qui e ai
piedi della croce, dove si consumano le nozze tra Dio e
l’umanità