Omelia don Paolo Andrea Natta (Diocesi di Verona), celebrazione ore 19.00 >>>
Vangelo
Chi è il mio prossimo?
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 10,25-37
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».
Ermes Maria Ronchi, su Avvenire: Attraversare con fiducia la terra dei lupi >>>
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Invece un samaritano, che era in viaggio, vide, ne ebbe compassione, si fece vicino. Un samaritano, gente ostile e disprezzata, che non frequenta il tempio, si commuove, si fa vicino, si fa prossimo. Tutti termini di una carica infinita, bellissima, che grondano umanità. Non c’è umanità possibile senza compassione, il meno sentimentale dei sentimenti, senza prossimità, il meno zuccheroso, il più concreto. Il samaritano si avvicina. Non è spontaneo fermarsi, i briganti possono essere ancora nei dintorni. Avvicinarsi non è un istinto, è una conquista; la fraternità non è un dato ma un compito.
I primi tre gesti concreti: vedere, fermarsi, toccare, tracciano i primi tre passi della risposta a “chi è il mio prossimo?”. Vedere e lasciarsi ferire dalle ferite dell’altro. Il mondo è un immenso pianto, e «Dio naviga in questo fiume di lacrime» (Turoldo), invisibili però a chi ha perduto gli occhi del cuore, come il sacerdote e il levita. Fermarsi addosso alla vita che geme e si sta perdendo nella polvere della strada….
Luciano Manicardi – Comunità di Bose: Comunione che si comunica >>>
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Ora, è importante cogliere la parabola in continuità con il dialogo tra il dottore della legge e Gesù. In questo modo, apparirà evidente che Gesù cerca di far percorrere al dottore della Legge un cammino di conversione. Gesù predispone un percorso che cerca di far passare il dottore della Legge dalla domanda segno di disimpegno e deresponsabilizzazione – “Chi è il mio prossimo?” – al farsi lui attivamente prossimo, e più in generale cerca di smuoverlo conducendolo dall’intellettualismo alla prassi, dal sapere al fare. Una volta che Gesù ha narrato la parabola e ha posto la domanda al suo interlocutore su chi tra i personaggi della parabola sia stato veramente prossimo per l’uomo ferito dai briganti, il dottore della Legge risponde bene, in modo ortodosso (orthôs: v. 28), ma non arriva a fare il legame tra sapere e fare, tra conoscenza delle Scritture e sofferenza dell’uomo, tra corpo delle Scritture e corpo dell’uomo ferito, tra spirito e mano. Capiamo così l’ammonimento che Gesù ripete due volte e che insiste sull’agire, sul fare: “Fa’ questo e vivrai!” (Lc 10,28); “Va’ e anche tu fa’ lo stesso” (Lc 10,37). Il racconto di questa parabola ha dunque valenza di rivelazione anche per il dottore della Legge e sconvolge una credenza diffusa all’epoca: la domanda “chi è il mio prossimo?” aveva come frequente risposta la successione in ordine di importanza “il sacerdote, il levita, il figlio d’Israele”, mentre il Samaritano era annoverato tra coloro che meritavano l’odio e il rigetto. Nella parabola vi è rovesciamento di situazioni: quelli che bisognava amare in quanto prossimo (il sacerdote e il levita) si rivelano essere quelli che non amano, non esercitano alcuna solidarietà, non fanno misericordia (v. 37), mentre colui che si poteva e doveva odiare (il Samaritano) è colui che concretamente esercita la solidarietà, perché è preso da compassione. Di certo qui Gesù insegna che la solidarietà è un reale farsi prossimo all’altro nella sua sofferenza. …
Gesuiti Villapizzone, Milano ( http://www.gesuiti-villapizzone.it/sito/lectio/vangeli.html
Amerai…
Per avere la vita dobbiamo amare Dio con tutto il cuore e il
prossimo come noi stessi. Ma nessuna legge e nessun rito ci dà
la vita: possiamo amare solo se siamo amati. Il Samaritano è
Gesù che ama me e ciascuno di noi. Nella misura in cui
sperimento il suo amore per me, posso fare agli altri ciò che lui
ha fatto a me